Ne ha fatta di strada Anna Kendrick da quando si è imposta sul grande schermo accanto a George Clooney in “Tra le nuvole” ed è diventata un volto noto per le sue interpretazioni nella saga di Twilight, Pitch Perfect e Into the woods. Con Woman of the hour l’attrice e cantante statunitense fa il suo esordio dietro la macchina da presa, con un thriller true crime ambientato negli anni ‘70.
Il film, arrivato in Italia sulla piattaforma Netflix, si basa su una storia vera: l’aspirante attrice Cheryl Bradshaw (interpretata dalla stessa Kendrick) che nel 1978 partecipò al popolare show The Dating Game (format arrivato qualche anno dopo in Italia come “Il gioco delle coppie), trovandosi a sua insaputa faccia a faccia con il terribile serial killer Rodney Alcala (interpretato da un ottimo e inquietante Daniel Zovato). Cheryl scelse tra i pretendenti proposti nel gioco televisivo proprio Rodney, affascinata dalla sua arguzia, ma trovandosi in seguito a stretto contatto con lui, riuscì a intuirne la pericolosità e a salvarsi dalla sue grinfie. Questo incredibile fatto di cronaca è lo spunto da cui parte la narrazione di Woman of the hour.
Nella prima parte del film in montaggio parallelo ci vengono presentati i due protagonisti.
Vediamo Cheryl che si barcamena tra le difficoltà nell’intraprendere la carriera di attrice e una deludente esperienza relazionale con un vicino di casa, che la sommerge di attenzioni e complimenti al solo scopo di portarsela a letto; dall’altra parte in una serie di flashback vediamo Rodney all’azione come feroce predatore che sfoga la sua furia omicida sulle malcapitate vittime.
Nella seconda parte del film tutto ruota intorno allo show e all’incontro sul set televisivo tra i due protagonisti. Al termine della puntata arriva il momento della verità: Cheryl sceglie come pretendente proprio Rodney. I due vanno a prendere qualcosa da bere in un locale e lì, tra le pieghe dei loro dialoghi, s’insinua nella ragazza il sospetto di aver a che fare con un uomo potenzialmente pericoloso, nonostante i suoi modi affettati. Segue una scena estremamente tensiva, in cui Cheryl scampa all’aggressione per un pelo. E si arriva così al finale catartico, in cui finalmente Rodney viene arrestato, grazie alla denuncia di una vittima sopravvissuta.
La caratteristica più originale di questo film sta nel fatto che il focus narrativo non sia incentrato sul serial killer, come in molti film e serie tv true crime recenti (Monsters o Dahmer), bensì sulle sue vittime reali o potenziali.
Il punto di vista è sempre quello delle donne predate. Di Rodney Alcala ci viene mostrato sempre l’agire, ma non ci si sofferma sulle sue motivazioni. Delle vittime, invece, conosciamo le emozioni ed i sentimenti.
Le inquadrature ci raccontano molto. I loro intensi primi piani ritraggono i mutamenti di stato d’animo, l’affabilità e la predisposizione positiva nei confronti dell’aggressore che si smorza, tramutandosi in inquietudine e paura. Inoltre, nelle scene di aggressione, volutamente ci vengono celati gli aspetti più violenti ed efferati. Anzi, nelle uniche due scene in cui l’aggressione ci viene mostrata le inquadrature sono in campo lungo, da lontano. Anche a livello sonoro, le grida e i rumori della colluttazioni arrivano come un eco remoto. Forse non perché la macchina da presa vuole prendere le distanze da quanto di orribile sta accandendo, ma piuttosto sembra un distacco dettato dalla compassione e dal pudore.
Nel corso del film Alcala la fa franca più volte, arrivando addirittura a partecipare ad uno show televisivo con estrema sfrontatezza. C’è un personaggio secondario femminile che durante lo show riconosce in lui l’assassino di una sua amica: ma come una novella Cassandra, la donna viene snobbata dalla produzione dello show e dalla polizia e non le crede neanche il suo fidanzato.
Inoltre nelle didascalie che scorrono sui titoli di coda apprendiamo che i crimini di Rodney Alcala sono rimasti a lungo impuniti, nonostante le molte segnalazioni. In modo neanche troppo velato traspare una critica all’operato della polizia dell’epoca.
In tutto il film risulta chiara anche la motivazione di tale negligenza: il maschilismo imperante nella società dell’epoca. Rodney Alcala non è l’unico maschio predatore del film: tutte le figure maschili di comprimari lo sono.
E se il concetto non fosse abbastanza chiaro, anche nei vissuti narrati dalle vittime del serial killer emerge un ritratto poco lusinghiero dell’universo maschile. Eppure arriva anche forte il senso di rivalsa: le donne, considerate solo prede ed oggetti di piacere e violenza, dimostrano la forza interiore e l’intelligenza necessaria per difendersi e sfuggire all’implacabile cacciatore.
In conclusione questa opera prima di Kendrick meriterebbe di essere vista non solo per l’insolito punto di vista sul true crime, ma anche perché è un prodotto ben confezionato. Pregevole la fotografia dai toni caldi che rievoca i colori della pellicola anni ‘70 e accurata la ricostuzione delle atmosfere seventies nella scenografia, nei costumi e nelle musiche.
Genere: drammatico, crime
Paese, anno: Stati Uniti, 2024 Regia: Anna Kendrick
Interpreti: Anna Kendrick, Daniel Zovatto, Tony Hale, Kelley Jakle, Max Lloyd-Jones, Darcy Laurie, Jessie Fraser, Kathryn Gallagher, Matty Finochio, Nicolette Robinson
Sceneggiatura: Ian MacAllister McDonald
Fotografia: Zach Kuperstein
Montaggio: Andy Canny
Produzione: AGC Studios, Vertigo Entertainment, BoulderLight Pictures
Distribuzione: Netflix
Durata: 89'