James Sveck (Toby Regbo) è un diciassettenne che non anela aggregarsi al ritratto decadente di una famiglia in crisi. Sua madre (Marcia Gay Harden) è alle prese con il terzo divorzio, mentre il padre (Peter Gallagher) sembra interessato solo al suo imminente intervento chirurgico che dovrebbe renderlo appetibile agli occhi di ragazze più giovani. Come se non bastasse, la sorella Gillian (Deborah Ann Woll, la bella Jessica di True Blood) si è innamorata di un anziano professore che l’ha convinta a scrivere le sue memorie alla veneranda età di ventitre anni. Di tutto ciò, James non vuole far parte. Incapace di vivere in società , il ragazzo sogna un’esistenza solitaria, da condividere solo con il piacere della lettura. Le uniche persone capaci di far breccia nel muro innalzato dal ragazzo sono la nonna Nanette (Ellen Burstyn) e la terapista Hilda Temple (Lucy Liu). Dopo i successi ottenuti oltreoceano da autori come Gabriele Muccino e Paolo Sorrentino, è la volta di Roberto Faenza di imporsi nel cinema americano, dal quale il regista torinese attinge per comporre l’interessante ritratto di un adolescente problematico, più saggio delle persone che lo circondano e che dovrebbero guidarlo nella crescita. Gli adulti sono, per Faenza, elementi di decoro, personaggi al margine del quadro che, seppur presentati attraverso le loro spesso ridicole ossessioni, non vengono mai giudicati né analizzati, in quanto del tutto incapaci di svolgere il loro ruolo di guida. James allora deve vedersela da solo, nascondendosi tra le pagine dei libri e sognando un futuro silenzioso e solitario, che sembra sfidare ogni tipo di convinzione sociale che vuole l’essere umano circondato da propri simili, continuamente spaventato dall’idea della solitudine. Al contrario, James è intimorito dal pensiero di un contatto non solo fisico, ma anche emotivo con chiunque altro. Ecco perché tiene tutto il mondo a distanza, in una New York tentacolare e affascinante. L’unica persona che James sente (e vuole) vicina è la nonna, capace di raddrizzare le manchevolezze di genitori troppo presi da se stessi, il cui mancato senso di responsabilità si riflette anche sulle scelte discutibili della sorella. Ma il dolore è in agguato anche per persone come James, sole e abbandonate. E proprio attraverso quel dolore il ragazzo potrà in qualche modo fare pace con se stesso, tendendo una mano al mondo esterno, seppur con tutti i suoi problemi. Roberto Faenza dirige con onestà il romanzo di formazione dello scrittore statunitense Peter Cameron, che trova la sua forza nel rovesciamento delle convenzioni; la crescita, per il protagonista, non avviene attraverso una conoscenza più approfondita di se stesso, bensì tramite un approccio meno sognante all’ambiente circostante, capace comunque di insinuarsi nonostante tutti i paletti fissati dal ragazzo. Un giorno questo dolore ti sarà utile si fa forte di un buon soggetto e di un regista sempre attento a cogliere le dinamiche psicologiche ed emotive dei suoi protagonisti, e restituirle in tutta la loro commovente semplicità .