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Anna Karenina

13/02/2013 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Anna Karenina

Da Joe Wright, regista dei feuilleton cinematografici Espiazione e Orgoglio e Pregiudizio, torna al cinema – dopo le trasposizioni del 1935 di Clarence Brown, c

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Da Joe Wright, regista dei feuilleton cinematografici Espiazione e Orgoglio e Pregiudizio, torna al cinema – dopo le trasposizioni del 1935 di Clarence Brown, con Greta Garbo, e del 1948 di Julien Duvivier, con Vivien Leigh – la più scandalosa tra le storie d’amore ambientate nella Russia degli zar.


XIX secolo. Anna (Keira Knightley), aristocratica moglie di Karenin (Jude Law), alto funzionario dello zar, si reca a Mosca per intercedere presso la cognata Dolly (Kelly Macdonald), in favore del bizzoso fratello fedifrago. Durante il viaggio conosce la Contessa Vronskaya (Olivia Williams) e suo figlio Vronskj (Aaron Johnson), affascinante ufficiale dell’esercito zarista, di cui si innamorerà perdutamente. Tra Anna e l’ufficiale, che la ricambia con trasporto, inizierà così una scandalosa storia d’amore che sfiderà le regole e le convenzioni della società e getterà un’ombra sconveniente sulla donna, sulla carriera politica del marito e sul giovane Vronskj, conducendo lentamente i due amanti alla rovina.


Qualcuno disse di Lev Tolstòj che Anna Karenina fosse la sua perfetta identificazione. E nel frusciare di sete e velluti, nei lunghi campi aperti sulle steppe russe, nei primi piani classicheggianti e nelle scelte del cast, anche l’adattamento di Joe Wright è un film-compendio del suo regista. Se anche ormai dedito da anni agli adattamenti in costume, mai nessuna pellicola è stata così identificativa del regista inglese come questa Karenina, da lui ardentemente voluta, realizzata come un colossal e diretta come un romanzo d’altri tempi, con dialoghi pomposi e un impianto scenico da fare invidia alle precedenti, più note, trasposizioni degli anni ’30 e ’40. Se è vero che da qualche tempo il cinema sembra ormai essersi votato - tra Grandi Speranze, Les Miserables e Il Grande Gatsby - all’adattamento letterario, è anche corretto ammettere che pochi registi reggono l’impianto del film in costume con la sapienza e la spigliatezza di Wright: la maestria con cui il regista dirige artificiosi valzer, impetuosi battibecchi e corse in carrozza, resta invariata, poco importa che si tratti della campagna inglese o delle nevi russe. E non di sole scenografie si parla: nel dirigere le grandi storie d’amore in cui Wright coraggiosamente si cala, egli non manca di porre grande attenzione alla scrittura, con dialoghi che mantengano l’altezzosità della fonte letteraria ma che si rendano attuali, a fare struggere il pubblico in sala, come se Karenina fosse una signora di oggi, il giovane Vronskj un rampollo contemporaneo e l’algido Karenin il cattivo di sempre. Ed ecco allora un’operazione cine-letteraria di gran pregio, con una sceneggiatura opera del premio Oscar Tom Stoppard il quale, come già fatto in Shakespeare in love, intinge nelle atmosfere dei palchi d’Europa il dramma in costume di Tolstoj e infine lo consegna alla macchina cinematografica: tra scenografie create ad hoc nei britannici Shepperton Studios e qualche movimento di macchina nella Madre Russia, Wright infine avvolge di un’allure moderna e glamour la contessa tolstojana.


Ma se pienamente riuscita è l’ambientazione nella Russia zarista, decisamente addolcita in salsa british, così come la storia d’amore - l'ostacolata passione senza tempo tra una donna di buona società e un impetuoso giovanotto di belle speranze -, del Tolstoj che sfidava con il suo romanzo a puntate le convenzioni e le ipocrisie di una società scintillante fuori e marcia dentro, nell’Anna Karenina di Wright poco è rimasto. E il difetto è stavolta da imputare non alla regia – fin troppo minuziosa - e nemmeno al bel testo di Stoppard, ma unicamente alla scelta di un cast britannico e del tutto fuori parte. Se una nota positiva è costituita soprattutto da Matthew Macfayden nella parte di Stiva, fratello di Anna, e da Emily Watson, la contessa Lydia, sono soprattutto i protagonisti a deludere: ad iniziare da Jude Law, spento e inefficace, un Karenin che da gelido politico diventa qui poco più che un marito depresso, ad Aaron Johnson, Vronskj fioco e vezzoso, sino alla protagonista, nel più inadeguato dei ruoli a lei mai affidato. Coperta di perle, velluti, piume, sete e pellicce – al cui confronto i costumi della Divina Garbo del ’27 e ’35 scompaiono - Keira Knightley fa quello che può per attingere ispirazione alle sue interpretazioni passate, ma Karenina è un personaggio ingombrante, moderno e complicato - ai tempi di Tolstoj come ora - e profondamente condizionato dalle interpretazioni del passato. Joe Wright, che ha subito, come molti cineasti prima di lui, il fascino di Anna Karenina, ha tratto la protagonista tolstojana dalle pagine del romanzo, l’ha decontestualizzata, l’ha condita del divismo hollywoodiano, l’ha adattata alle movenze della Knightley – troppo giovane e troppo spigolosa - che l’ha rimasticata trasformandola in un personaggio amorfo, stucchevole e incompleto, manifesto dei limiti dell’attrice inglese e del film. Del resto - citando il più celebre degli incipit - tutti i bravi attori si assomigliano fra loro, ma ogni interpretazione infelice è infelice a suo modo.


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