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Oblivion

29/04/2013 11:00

Lorenzo Pedrazzi

Recensione Film,

Oblivion

Ottimo esempio di sci-fi emozionale

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L'anno è il 2077: in seguito all'attacco di una misteriosa civiltà aliena, gli Scavs, la Terra è ridotta a un deserto disabitato. L'umanità ha vinto la guerra, ma per farlo ha dovuto usare il nucleare, che ha reso il pianeta contaminato e inabitabile. Quel che resta della razza umana vive su Titano, uno dei satelliti di Saturno. Jack Harper e Victoria, però, hanno l'incarico di sorvegliare l'estrazione di acqua dagli oceani terrestri, indispensabile per la sopravvivenza della colonia su Titano. Jack, in particolare, ha l'incarico di riparare i droni che proteggono gli enormi macchinari di estrazione: alcuni Scavs sono infatti sopravvissuti, e agiscono nell'ombra per sabotare sia i droni sia i macchinari. Jack e Victoria - la cui memoria è stata cancellata per evitare che rivelino informazioni agli Scavs in caso di cattura - finiranno il loro turno tra due settimane, poi potranno trasferirsi su Titano. Ma quando una capsula precipita sulla Terra, e Jack scopre che al suo interno c'è una donna che popola da sempre i suoi sogni, tutto cambia.


Ennesimo film che dimostra la grande permeabilità della fantascienza nei confronti degli altri generi, Oblivion è un ottimo esempio di sci-fi emozionale, un ibrido di avventura, distopia post-apocalittica e melodramma che eredita il patrimonio genetico di grandi classici come Il pianeta delle scimmie e Io sono leggenda, rielaborandolo però in modo molto personale. L'impatto iniziale è prettamente visivo: si nota subito la cura del regista Joseph Kosinski per il design raffinato, che abbandona le psichedelie al neon di Tron: Legacy e trova compimento in uno stile asettico, futurista e razionalista, stabilendo un efficace dualismo fra gli ambienti in cui vivono Jack e Victoria (non solo la stazione sospesa tra le nuvole, ma anche la bubble ship di Jack, le armi, il vestiario) e la desolazione in cui si muovono gli Scavs, fatta di scenari polverosi e suggestivi panorami desertici, dove la natura ha inglobato le monumentali vestigia dell'umanità. In questo frangente la trama di Oblivion è come un mosaico le cui tessere sono state mischiate, e osservarle ci disorienta, poiché non riusciamo a cogliere il quadro completo. Poi, progressivamente, alcune tessere vanno al loro posto, e tutto si fa più chiaro: Oblivion è un puzzle da ricostruire pezzo per pezzo, scoprendone gradualmente i colpi di scena fino a raggiungere una piena consapevolezza delle cose. Il gioco funziona perché, al contrario di quanto avviene con i generi del thriller e del mistery, nel film di Kosinski la tensione imbocca una parabola crescente, non decrescente. C'è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, e tutti i frammenti hanno una loro funzione all'interno del mosaico, anche quando sembra che le suggestioni narrative siano troppe. È vero, Oblivion unisce elementi eterogenei che derivano dalle più svariate incarnazioni della fantascienza (e non solo), ma ognuno di essi trova giustificazione nella trama e l'insieme si rivela piuttosto coerente. Si parlava, però, di sci-fi emozionale, e infatti Oblivion è un film sull'importanza della memoria e sul valore dei ricordi, che ci definiscono in quanto esseri umani. Dimenticare, in tal caso, non significa sotterrare l'ascia di guerra, ma perdere la propria identità, la propria autoscienza di individuo, la propria autonomia di pensiero. L'oblio (da cui il titolo del film) è una dimensione sospesa ed esterna alla realtà dei fatti, completamente acritica. E come spesso accade nella fantascienza emozionale, serve una combinazione di sentimento e curiosità intellettuale per guidare la rivoluzione. I sentimenti sono la chiave per il risveglio, e riattivano la memoria a discapito di qualunque procedura anestetizzante. L'ultimo atto di Oblivion, dopo uno spettacolo di inseguimenti e azione vertiginosa, si avvicina quindi alle logiche del melò: quel che resta, anche sullo sfondo dell'apocalisse, è l'istinto protettivo di un uomo innamorato. Un'avventura godibilissima, a tratti spiazzante e stilisticamente ricercata.


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