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300 - L'alba di un impero

07/03/2014 12:00

Roberto Semprebene

Recensione Film, CineComics,

300 - L'alba di un impero

A 7 anni di distanza da 300, il capitolo originale diretto da Zack Snyder, arriva in sala 300: L’alba di un impero, curioso caso di film che non si configura co

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A 7 anni di distanza da 300, il capitolo originale diretto da Zack Snyder, arriva in sala 300: L’alba di un impero, curioso caso di film che non si configura come prequel né come sequel, ma come sorta di narrazione contemporanea ai fatti raccontati nel primo episodio. Affidata la regia a Noam Murro, Snyder si è dedicato alla sceneggiatura sulla base di un canovaccio fornito dallo stesso Frank Miller, deciso a raccontare un’altra storia ambientata nello stesso identico contesto storico. Del resto, la seconda guerra persiana ben si presta a raccontare di atti eroici, recuperando personaggi già resi noti al grande pubblico, come Serse di Persia (Rodrigo Santoro) o la regina Gorgo di Sparta (Lena Headey), e introducendone di nuovi, i veri protagonisti di 300: L’alba di un impero: Temistocle (Sullivan Stapleton), generale e stratega ateniese, e Artemisia (Eva Green), comandante della flotta persiana.


Romanzando i fatti storici, Snyder ricostruisce la storia dell’ascesa di Serse al potere all’indomani della morte del padre Dario dopo la disfatta di Maratona. Il giovane principe, distrutto dal dolore, viene indotto dalla bella e letale Artemisia a percorrere un cammino di elevazione spirituale che lo rende il dio re. Assunto il potere, Serse lancia la campagna di vendetta nei confronti della Grecia. Come sappiamo Sparta rifiuta di sottomettersi e Leonida e i suoi 300 si immolano alle Termopili. Nel mentre Temistocle, eroe di Maratona e Comandante della flotta ateniese cerca di radunare tutte le poleis in un’unione antipersiana, ma si trova ad affrontare la furia di Artemisia e dell’imponente macchina da guerra persiana quasi da solo. L’audacia, l’astuzia e la volontà di difendere la libertà, bene sconosciuto ai Persiani, saranno le leve sulle quali l’ateniese potrà far conto per difendere la Grecia dalla più grave minaccia portata alla sua esistenza.


Che sia piaciuto o meno, 300 è un film che ha saputo lasciare un segno nella moderna cinematografia d’azione, portando sullo schermo un adattamento da graphic novel capace di spingersi oltre quanto visto fino ad allora grazie ad un sapiente uso di fotografia, slow motion ed effetti speciali, applicati ad una storia che massimizzava gli aspetti epici di uno degli episodi più noti e amati della storia classica. 300: L’alba di un impero appare come un appendice del suo più illustre predecessore, ma per una volta non sembra trattarsi semplicemente di un’operazione di marketing. Indubbiamente le considerazioni economiche avranno avuto il loro peso, ma il film denuncia soprattutto un interesse nel riprendere modalità di narrazione che sembrano risultare accettabili e credibili solo se calate in quel contesto, recuperando tutti gli stilemi, l’impostazione dei dialoghi e le intuizioni estetiche che hanno reso grande 300. Il risultato è un film godibile, che indubbiamente sa di déjà-vu, ma conserva una sua autonomia e introduce la battaglia navale come sua caratteristica e peculiarità. Meno d’impatto è la forza dei personaggi: Temistocle è passato alla storia come un grande stratega ed è certamente stato uno dei più influenti uomini politici d’Atene, ma non ha il carisma e la potenza romantica di un Leonida, come del resto Stapleton non è Butler nel renderlo sullo schermo. Sul fronte opposto, la bellezza di Eva Green non compensa l’incapacità di dare forza ad un personaggio, Artemisia, che doveva trasmettere una rabbia e uno spirito di vendetta che nella fredda presenza dell’attrice sullo schermo non raggiunge mai lo spettatore con la forza che invece dimostra di nuovo Lena Headey nell’impersonare Gorgo, regina sempre all’altezza del suo re. Presumendo che 300 diventi una trilogia, con un ultimo episodio dedicato alla decisiva battaglia di Platea (già evocata sul finire del primo film), c’è da chiedersi cosa si possa chiedere ad una produzione che, per contenuto e modalità, non può che trovare nel proprio capostipite il punto più alto raggiungibile.


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