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The Tribe

06/05/2015 11:00

Riccardo Tanco

Recensione Film,

The Tribe

Sergei (Grigoriy Fesenko), un ragazzo sordomuto, arriva in una comunità di adolescenti affetti dalla stessa problematica...

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Sergei (Grigoriy Fesenko), un ragazzo sordomuto, arriva in una comunità di adolescenti affetti dalla stessa problematica. L'istituto è comandato da una banda che controlla un giro di furti e prostituzione e Sergei cerca di farsi accettare entrando in quel mondo criminale. L'amore per Anna (Yana Novikova), una delle ragazze dell'istituto, porteranno però Sergei a trasgredire le regole del branco.


Presentato al festival di Cannes nel 2014 nella “Semaine de la Critique” e successivamente vincitore del Milano film Festival, The Tribe è l'opera prima del regista ucraino Myroslav Slaboshpytskiy che, dopo una serie di cortometraggi, debutta su grande schermo. La radicalità e la particolarità di un'opera come The Tribe, che l'hanno resa celebre anche prima dell'uscita in sala, è che si tratta di un caso particolare se non unico: interamente girato nella lingua dei segni ucraina, interpretato da veri sordomuti, il film non è supportato da nessun dialogo o sottotitolo. La portata teorica che quasi azzera il suono e la parola, due elementi fondanti del cinema, è chiaramente stimolante.


The Tribe vuole puntare tutto sull'attenzione alle immagini e spingere lo spettatore a interpretare ciò che sta vedendo senza l'aiuto della voce dei personaggi o dei rumori esterni, ridotti al minimo per realizzare un microcosmo dove non si sente e non si parla. L'approccio registico scelto da Slaboshpytskiy opta per un quadro preciso, con la macchina da presa che si muove tra piani sequenza e scene a inquadratura fissa. Nonostante la peculiarità produttiva, che certamente incuriosisce e può portare a riflessioni sulla macchina cinema e la sua realizzazione, The Tribe pecca nella messa in scena, dove comanda un formalismo eccessivo e fine a se stesso. Una freddezza chirurgica della rappresentazione, che però non trova accordo con quanto si rappresenta. Forse ancora acerbo di sguardo, ma l'operazione del regista ucraino - che guarda ad Haneke senza averne la portata narrativa e drammaturgica - ha il difetto dell'esibizionismo scenico nell'insistere a vedere con occhio distaccato il dolore e la violenza, in una maniera però che non scandalizza e non turba ma si tramuta in cinema fastidioso e vagamente sterile. E oltre all'aria di opera che vive sulla propria diversità, ma che furbescamente obbliga lo spettatore a cedere a uno sguardo glaciale ma finto, The Tribe fallisce anche nel racconto dei corpi, elemento che potenzialmente poteva regalare spessore al film e nelle traccia di genere. Una sorta di noir crudo e ineluttabile con al cuore della vicenda un amore impossibile tra ragazzi. Invece, The Tribe resta ossessionato e ingabbiato dal voler sorprendere con il proprio radicalismo, finendone vittima.


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