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Il piccolo principe

29/12/2015 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Il piccolo principe

Quando il Piccolo Principe era ritornato, ma non alla stessa ora, la Volpe gli aveva spiegato che “se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, da

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Quando il Piccolo Principe era ritornato, ma non alla stessa ora, la Volpe gli aveva spiegato che “se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. E quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi”. In sintesi, la Volpe gli aveva spiegato l'hype che precede un grande incontro. Qualcosa di simile alla più ambiziosa (finora) trasposizione cinematografica de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupery. Svincolata solo nel 2015 dal diritto d'autore, la più impegnativa favola mai scritta è giunta al cinema sotto la direzione di Mark Osborne, già regista di Kung Fu Panda.


Una bambina si prepara, sotto lo sguardo vigile di una madre perfezionista, per essere ammessa a una prestigiosa scuola che la condurrà dritta a un futuro che sembra già scritto. Almeno fino a quando nella nuova casa, in un quartiere grigio e serio vicino alla prestigiosa Accademia Werth, la bambina incontra l'Aviatore nella sua abitazione colorata e piena di storie. Sarà proprio l'eccentrico anziano a raccontarle la favola e i molti mondi del Piccolo Principe.


Una fiaba visiva, profondamente filosofica, con un protagonista affascinante che riassume la complessità degli esseri umani in un viaggio fra gli asteroidi che dura appena 120 pagine. Il confronto cinematografico con il testo di de Saint-Exupery resta una sfida non semplice: mai qualcuno prima si era cimentato con tanta foga nella traduzione su schermo di questo romanzo, provando ad attraversare i linguaggi con una storia nuova, aggiornata, ambiziosa. Ecco allora che Osborne, come già fatto per la filosofia orientale in Kung Fu Panda, si interroga su come rendere in immagini la bellezza di quelle parole, così semplici e così piene, e di quelle illustrazioni candide che allegano ogni edizione nota. La risposta è, ancora una volta, nella più rotonda animazione CGI e in una trama cornice che, nell'opinione degli autori, doveva ravvivare la vicenda nota del fanciullo perso in una galassia di adulti. Ma le intuizioni di Osborne, altrove pienamente centrate, stavolta si sono mosse a zig zag, oscillando fra idee vincenti e altre più stantie. Avvicinandosi e allontanandosi dallo spirito del romanzo.


Il Piccolo Principe di Mark Osborne è un film diviso tra la passione senza tempo per il restare bambini e il desiderio inarrestabile di piacere ai bambini. Nasce così, dalla collaborazione con gli sceneggiatori Irena Brignull e Bob Persichetti, un film spezzato in due parti: una cornice noiosetta e convenzionale, con una bambina contesa tra una madre severa e il bizzarro Aviatore; un intermezzo in stop motion, meraviglioso, delicato come carta e sabbia, sfavillante di una luce nuova che affida la terza dimensione a disegni che evocano meravigliosamente quelli di de Saint-Exupery. Peccato che Osborne non abbia deciso di realizzare l'intero film nella splendida tecnica che dà vita alle sequenze in cui è lo stesso Principe in scena, nel deserto con l'Aviatore, sui pianeti con l'Uomo Vanitoso o il Re, per i campi con la Volpe. Un peccato che alcuni dei passaggi più belli del romanzo – il dialogo sull'addomesticamento, primo fra tutti – non abbiano trovato spazio nel film, preferendo un secondo tempo che, addirittura, si lancia in una sorta di “sequel” delle avventure del biondo protagonista, ormai cresciuto. Peccato, perchè Il Piccolo Principe non è Peter Pan. Non è una favola innocente sul restare bambini e, definitivamente, non è un racconto del tutto ottimista: è il ritratto dei vizi umani, visti con gli occhi del candore e non per questo meno condannati. Non è una storia con un facile lieto fine e, a pensarci bene, non è detto che debba per forza piacere a tutti. Ma Osborne prova lo stesso a farsi amare e, attraverso una sceneggiatura più o meno originale, attacca alla trama di partenza un sentimentalismo che graffia definitivamente il senso ultimo del romanzo; sceglie un tono moralistico che mai il romanzo aveva avuto e - infine - lo trasforma in una fiaba con insegnamento. Se per una buona parte del film - quasi tutta contenuta nelle sequenze stop motion - Osborne sembrava essere in grado di fare un lavoro davvero originale ed evocativo con la poesia di de Saint-Exupery, il secondo tempo si perde nel parapiglia dell'animazione e si allontana dalla storia di partenza. Unica trovata riuscita: la Volpe trasformata in un fedele peluche. Con un po' meno carineria e un uso più convinto della bella colonna sonora di Hans Zimmer, Il Piccolo Principe poteva essere un bel tentativo.


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