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L'uomo delle stelle

14/01/2016 11:00

Riccardo Cotumaccio

Recensione Film,

L'uomo delle stelle

A sette anni da Nuovo cinema Paradiso, Giuseppe Tornatore - ormai Premio Oscar - sceglie di tornare in provincia, nel cuore della Sicilia, per dar vita a un fil

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A sette anni da Nuovo cinema Paradiso, Giuseppe Tornatore - ormai Premio Oscar - sceglie di tornare in provincia, nel cuore della Sicilia, per dar vita a un film altrettanto romantico, emozionante e, in quanto a tecnicismi, persino più maturo. L'uomo delle stelle, Premio della Giuria a Venezia nel 1995 e candidato all'Oscar per Miglior film straniero, vince anche il David di Donatello per il Miglior film, primo di quattro per il regista di Bagheria.


Joe Morelli (Sergio Castellitto) vende sogni. Lo fa nella Sicilia degli anni Cinquanta grazie al cinema, splendida e ora fruibile, invenzione. Con il suo autocarro - munito di altoparlante, tendone e attrezzatura tecnica - il romano attira a sé decine di occhi curiosi. Confessioni, sogni, speranze e dolori: ogni paese ha una storia da raccontare alla telecamera, interlocutrice speciale di un'unica, irripetibile confessione. In questa grande regione, simile a un "pentolone che ribolle", Joe promette i fasti di Roma a generazioni cresciute coltivando la terra. Donne, bambini, ragazzi, brigadieri, criminali, ex militari, anziani, persino i defunti diventano i protagonisti di un grande, eterogeneo provino. Dopo aver trovato l'amore negli occhi della giovanissima Beata (Tiziana Lodato), il percorso dell'uomo delle stelle conosce bruscamente il tramonto, trascinando con sé tutte le storie e le vite di chi gli aveva aperto l'animo, forse con troppa leggerezza.


Quella di Tornatore è un'opera per certi versi felliniana: le grandi scenografie, le centinaia di comparse, il tono beffardo e allo stesso tempo festivo di un'avventura nata ironica e morta nel dramma fanno de L'uomo delle stelle un film capace di vestire due ruoli senza disturbare lo spettatore, che segue con armonia lo scorrere degli eventi. Grazie a una sceneggiatura imponente, imperniata di monologhi toccanti e culturalmente stuzzicanti, la trama esalta le seppur brevi interpretazioni di molti personaggi. L'omosessuale di provincia interpretato da Leo Gullotta (ancora ai suoi livelli più alti sotto la guida di Tornatore) e l'anziano, nonché muto, reduce di guerra incarnato da un imponente Leopoldo Trieste in una delle sue ultime interpretazioni, sono alcune delle perle incastonate nella stesura di una storia più che originale, dolcemente comica, incantevole e crudele, cinica e perfida, eppure armoniosa. Come per Nuovo cinema paradiso, anche qui Tornatore porta in trionfo il concetto di cinema nel suo senso più tecnico come filo conduttore di una storia dai mille spunti. La voglia di partire, il grande fascino della Roma cinematografica, le insidie di una terra di nessuno come la Sicilia, la lenta ripresa di un'Italia mutilata dalla guerra e la storia di un ingannevole venditore di sogni si fondono in una cornice tecnicamente a regola d'arte, accompagnata dalle splendide musiche di Ennio Morricone e da scenografie impeccabili.


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