Nel 2012 V/H/S entrò a gamba tesa nel panorama horror del nuovo millennio, riproponendo in chiave moderna il format delle antologie. Intendiamoci, non che questa idea fosse nuova: di antologie a tema più o meno horrorrifico ne abbiamo avute a tonnellate nagli ultimi 40 anni. A partire dalla Trilogia del Terrore del 1975, passando per i vari Creepshow che hanno colorato gli 80s, sino ad arrivare negli anni ’90 con Due occhi diabolici e Campfire Tales – Racconti del terrore. E questi sono solo una manciata di titoli random, giusto per citare i massimi esponenti e darvi un’idea di quanto questa trovata sia tutt’altro che originale. Eppure, dopo una prima decade del XXI in cui questo genere di prodotto pareva quasi scomparso, ecco arrivare in rapida successione V/H/S e ABCs of the death, antologie di genere (6 episodi il primo, ben 26 minimetraggi il secondo) che affondano le proprie radici nel cinema indipendente e low budget, con qualche nome di richiamo per i cultori dell’undeground e la più totale libertà creativa concessa agli autori coinvolti. E vista la risposta positiva del pubblico, questo genere di pellicole è ritornato in auge, fiorendo letteralmente sia con i titoli sopra citati (entrambi hanno due sequel all’attivo) sia con operazioni più o meno analoghe, quali Holidays, XX - Donne da morire, Tales of Halloween, A Christmas horror story e il (purtroppo) misconosciuto Mexico Barbaro. Southbound - Autostrada per l'inferno si colloca perfettamente all’interno di questo panorama. Horror indipendente a episodi, ognuno affidato a un regista differente, con molti dei nomi coinvolti che già hanno fatto capolino qua e là nelle altre antologie sopracitate, specialmente in V/H/S. Ciò che lo rende diverso dalle altre è però lo sforzo degli autori di dare una sorta di continuità alle varie storie, facendo sì che la conclusione di ognuna sfoci nell’incipit della successiva. Immaginate (prendendo molto con le pinze questo paragone) una specie di Pulp Fiction con una struttura temporale più lineare e virato in chiave horror e avrete un’idea di quello che è Southbound - Autostrada per l'inferno. L’azione si svolge in uno dei tanti territori desertici che punteggiano il confine tra Stati Uniti e Messico, in cui può accadere di tutto come dimostrato già da innumerevoli horror. Cinque sono i capitoli attraverso cui la storia (o le storie) si dipana: The Way Out, dei Radio Silence: due uomini in viaggio arrivano in un’area di servizio abitata da mostri che ricordano i Dissennatori di Harry Potter. Siren di Roxanne Benjamin: le componenti di una band musicale rimaste in panne con il loro furgone vengono soccorse e ospitate a casa di una premurosa coppia di anziani che si riveleranno tutt’altro. The accident di David Bruckner: dopo aver investito una ragazza, l’uomo la porta in ospedale, ma quando arriva lì lo trova completamente deserto. Jailbreak di Patrick Horvath: una famiglia viene assalita da un gruppo di uomini mascherati. The way in, dei Radio Silence: il cerchio si chiude. Nel suo insieme Southbound - Autostrada per l'inferno appare come un vero concentrato di tutte le tematiche care e ricorrenti nell’horror moderno, riuscendo a coprire sfumature di sottogeneri differenti. Il registro dell’opera è bilanciato in maniera equilibrata; un mix che racchiude tensione, splatter, mistero, soprannaturale, azione, sadismo e malessere esistenziale. Un film che, nonostante la narrazione frammentaria, appare solido e scorrevole, diretto con criterio e ottimamente interpretato nonostante nel cast non vi siano nomi di spicco. Ma il maggior pregio di Southbound - Autostrada per l'inferno è, una volta tanto, quello di non nascondersi dietro il facile escamotage del found footage raccontando le sue vicende con uno stile di regia classico. Il film è sicuramente è una delle migliori antologie di genere in cui ci si possa imbattere nel mare di prodotti similari che negli ultimi anni stanno affollando il panorama.