Dark Night è un film sorprendente, ambizioso e difficile. Racconta un episodio sanguinoso di cronaca nera della recente storia americana: quello in cui, nel luglio del 2012, alla prima cinematografica del film Dark Knight Rises, in Italia Il cavaliere oscuro - Il ritorno, durante la proiezione di mezzanotte un giovane uomo, mascherato da Joker, lanciò gas lacrimogeni e sparò sugli spettatori. Dopo il massacro della Columbine High School del 1999, questo di Aurora fu in America l’attentato che causò il maggior numero di vittime in un’unica sparatoria: persero la vita dodici persone, fra cui donne incinte e bambini; molti altri furono feriti gravemente. Ma il film di Tim Sutton non mostra nulla di tutto questo. Ed è bene saperlo, prima di entrare in sala. Se avesse raccontato in modo canonico, la vicenda del giovane James Holmes, che calcola e decide il massacro, probabilmente sarebbe stato la descrizione di una fatalità, di una follia omicida, con protagonista il “solito” psicopatico bianco americano. Tim Sutton decide di non intraprendere neppure la strada del documentario, che era stata scelta da Michael Moore in Bowling a Columbine. Dark Night racconta solo attraverso le immagini - grazie alla raffinata ed eloquente fotografia di Helene Louvart - e affida ai suoni e alle musiche della cantautrice canadese Maica Armata il compito di spiegare l’inspiegabile: il contesto in cui si formano la follia e l’orrore. E il risultato è un vero film dell’orrore, che magicamente riesce a non mostrare una sola goccia di sangue, eppure ad essere violentissimo. Un continuo senso di ansia e angoscia attanaglia lo spettatore, che sa che qualcosa di terribile sta per accadere ma ignora da dove la minaccia arriverà, chi sarà l’autore del massacro. Le possibilità sono molte: un reduce di guerra, abbandonato a se stesso, senza aiuto, incapace anche di abbracciare il figlio di pochi anni? Un ragazzo ossessionato dai videogiochi, protetto dalla mamma, il cui unico amico è virtuale? Un’aspirante attrice scontenta del suo aspetto fisico? Un altro ragazzo, ricco, disadattato, appena lasciato dalla fidanzata? Nessuno è immune dalla follia, dal disagio sociale, dalla solitudine. E tutte queste persone hanno la possibilità di avere una pistola o un fucile. Le armi, oliate con cura, adoperate al poligono di tiro, sono mostrate in tutta la loro pericolosità, inaudito potenziale di morte; sono oggetti osceni, emettono suoni terrificanti e potenti, sono le vere protagoniste e i veri colpevoli. Le immagini del film sono rallentate e in questa lentezza emerge la verità delle cose, la loro reale natura. Le parole dei protagonisti, in interviste immaginarie, sono contraddittorie, stentate, confuse, come lo è la loro mente, frutto di una società che mette pressione e manda troppi messaggi, spesso sbagliati. Il senso di lutto e di terrore è accentuato dall’immagine lugubre e ricorrente del lampione nero, nuovamente la rappresentazione di un oggetto, simbolo del luogo della strage. Dark Night spiazza lo spettatore con una narrazione atipica e rallentata ma riesce benissimo a trasmettere il messaggio di confusione, isolamento e deriva di una società nella quale noi potremmo essere le vittime, ma anche i carnefici.