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Godzilla - Mangiapianeti

30/05/2019 11:00

Marco Filipazzi

Recensione Film, Godzilla,

Godzilla - Mangiapianeti

Il terzo film riprende i difetti dei capitoli precedenti

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Godzilla, abbiamo un problema. Così avrebbe dovuto intitolarsi questo terzo (e per fortuna ultimo!) capitolo animato della saga del lucertolone radioattivo, approdata - nell’arco di un anno - su Netflix.

 

Dopo Godzilla - Il pianeta dei mostri, debutto abbastanza convincente e sicuramente forte di una premessa accattivante, e il seguito Godzilla - Minaccia sulla città, che per la maggior parte della sua durata annega in una serie di sproloqui filosofeggianti, per riscattarsi solo parzialmente nella battaglia finale, la trilogia arriva alla sua coclusione con questo Godzilla - Mangiapianeti. Un titolo a dir poco catastrofico, che fa presagire allo spettatore una conclusione epica nella quale - finalmente - potremmo assistere a tutta la furia distruttiva di un Godzilla mai così immenso. Era quantomeno lecito aspettarsi un finale pirotecnico, soprattutto per gli appassionati del Re dei mostri, che nel corso della sua lunghissima carriera, attraverso 31 pellicole in live-action, ha sempre dato prova di essere un distruttore senza eguali. Se a ciò aggiungiamo la libertà concessa dall’animazione, Godzilla - Mangiapianeti avrebbe potuto essere il più fracassone di tutti i film di Gojira.

 

 

Invece questo terzo film riprende i difetti dei capitoli precedenti, amplificandoli ancor di più. Dopo il “nulla di fatto” con cui si era concluso il secondo capitolo, Haruo valuta la possibilità di allearsi con gli Exif, un popolo alieno votato al culto della morte, che evoca un mostro in grado di distruggere il mondo: Gidorah. La creatura è molto differente rispetto al classico drago dorato a tre teste che conosciamo: qui è un essere proveniente da un’altra dimensione, fatto di energia intangibile e rappresentato come tre serpenti separati.

 

 

Un film d’animazione con protagonista Godzilla, che aveva dalla sua la più totale libertà creativa, sceglie invece di sproloquiare per la maggior parte del tempo, relegando il Re dei Mostri al minor minutaggio possibile. Non solo: lo scontro tra Godzilla e Gidorah è a dir poco statico e si limita a mostrare i due colossali kaiju immobili in mezzo a una landa desolata, l’uno avvinghiato all’altro. C’è talmente poca azione, talmente poco conflitto tra i due... che è persino difficile etichettarlo come “scontro”. Tutta la narrazione viene affogata da pretestuosi dialoghi filosofeggianti e pseudo-religiosi, che non hanno nessuno scopo se non riempire minutaggio. Quando si conclude la visione, si ha l’impressione di aver appena visto un vecchio b-movie dal budget risicato, in cui la creatura viene mostrata poco e male per non svelare la povertà dei mezzi a disposizione.

 

 

Molti potranno dire che l’approccio degli autori Hiroyuki Seshita e Kobun Shizuno era più volto a una riflessione filosofico/esistenziale/religiosa su un’umanità scacciata dal pianeta; che si voleva fare qualcosa di diverso dal solito kaiju-movie, qualcosa in grado di dare allo spettatore uno spunto su cui riflettere e dibattere. Tutto ciò non è sbagliato, anzi, però dato che la parola Godzilla capeggia a caratteri cubitali nel titolo, era quantmeno lecito attendersi un po’ di distruzione gratuita e liberatoria, soprattutto se consideriamo questa trilogia come un unico film dalla durata di quasi 5 ore. Invece il Re dei mostri compare con parsimonia, quasi come fosse un personaggio molto marginale, perdipiù muovendosi in modo legnoso; non proprio quello che si si aspetta da un film che porta il suo nome.

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