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Godzilla II: King of the Monsters

30/05/2019 11:00

Marco Filipazzi

Recensione Film, Godzilla,

Godzilla II: King of the Monsters

Un film con tutte le carte in regola... e qualche asso nella manica

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Cosa ci si aspetta da un film su Godzilla? Nel 2014, quando uscì la (nuova) versione americana del lucertolone radioattivo, era lecito attendersi grandi scene di distruzione digitale. Sebbene alcune scelte di Gareth Edwards siano discutibili (c’è tutto un discorso “USA power” davvero pacchiano, sottolineato dal fatto che il protagonista è un Marine degli Stati Uniti d’America) è innegabile che molte altre, soprattutto quelle legate al comparto visivo, siano azzeccate. E in generale tutte le scene in cui compare Godzilla sono eccezionali: sia nei dettagli (la scena dei bengala sparati dal tetto è strepitosa) che negli sconfinati totali in cui ci viene mostrato in tutta la sua magnificenza. Cosa ci si aspetta da un sequel intitolato Godzilla II: King of the Monsters? Non certo una trama sofisticata, ampollose metafore o personaggi dalle accurate sfaccettature psicologiche: ci si aspettano i mostri (tanti) e le botte (ancor di più). In definitiva, il film ha tutti questi requisiti e qualche asso nella manica - che cala al momento giusto - e anche alcune cose che, alla lunga, sono frustranti, ma che comunque non intaccano del tutto il risultato finale.


La storia si apre nel mezzo della distruttiva battaglia di San Francisco, vista però dagli occhi dei nuovi protagonisti. Ancora una volta è una famiglia il fulcro della storia, ma a questo giro il punto di vista non è quello del padre/marine, bensì quello della giovane Madison (Millie Bobby Brown). Sua madre (Vera Farmiga) lavora per la Monarch, l’ente governativo incaricato di trovare e sorvegliare i Titani. Cinque anni dopo i fatti del primo film, Godzilla è scomparso, ma altri mostri iniziano a rivelarsi al mondo, minacciando di distruggere la nostra civiltà.


A scanso di equivoci: i Titani sono il cuore del film, mostrati spesso e inquadrati da ogni angolazione, anche se gli immesi totali che li ritraggono in tutta la loro imponenza restano la scelta registica migliore. Basti sapere che dopo una manciata di minuti facciamo la conoscenza di Mothra in stato larvale e, dopo nemmeno mezz’ora, assistiamo al risveglio di Ghidorah. Scene monumentali, tanto quanto lo sono i loro protagonisti. Il design delle creature (sebbene molto aderente a quello dei kaiju di gommapiuma della Toho) è più che mai realistico, grazie al gran lavoro fatto dal team degli effetti speciali su dettagli e movimenti, soprattutto negli scontri dove viene conferita pesantezza e fisicità, al punto che si riesce a percepire il senso di distruzione che li circoda.


Ma è proprio dagli scontri che emerge il lato più frustrante del film, in quanto si ricorre di continuo allo stesso stratagemma utilizzato da Gareth Edwards, ma anche da Guillermo del Toro in Pacific Rim. Ebbene, dopo un King Kong che macinava Strisciateschi sotto l’impietoso sole di Skull Island, Michael Dougherty torna a opacizzare tutto dietro le più impervie condizioni climatiche: fumo, pioggia, tempeste di neve, eruzioni vulcaniche e oscurità a badilate. Anche se qui emerge un’altra trovata geniale: la palette dei colori. Ogni Titano ne ha uno che lo contraddistingue e, grazie a stratagemmi narrativi (ad esempio Godzilla ha una bioluminescenza azzurra che gli illumina le scaglie dorsali), Dougherty crea incredibili giochi di luci e colori, grazie ai quali si può intuire l’entrata in scena di un creatura molto prima che essa si riveli. Colori che servono anche a creare coreografie mozzafiato durante gli scontri dei kaiju, che mano a mano che il film prosegue, si fanno sempre più complessi e articolati.


Purtroppo però non possamo avere in scena i mostri per tutti i 130 minuti di durata (sarebbe bellissimo) e occorre anche scrivere un canovaccio che i protagonisti umani possano portare avanti. E qui arriva il secondo colpo di genio, ovvero Millie Bobby Brown, intesa sia come personaggio che come attrice. Il grande pubblico ha imparato a conoscerla grazie al personaggio di Undici in Stranger Things che è, dichiaratamente, un omaggio a un certo tipo d'immaginario: gli anni ’80, Steven Spielberg e i film della Amblin. La sola presenza dell’attrice serve a farci accendere la lampadina su quel mondo e il suo personaggio amplifica questa sensazione. Il film, i Titani, la storia intera... sono tutti filtrati attraverso il suo punto di vista: che trasforma Godzilla II: King of the Monsters in una sorta di pellicola Amblin 2.0, destinata ai ragazzi esattamente come lo erano quei film 30 anni fa. Così facendo si tolgono di mezzo un sacco di sovrastrutture, motivazioni risibili, comportamenti azzardati che altrimenti farebbero storcere il naso al pubblico più puntiglioso. Accettando questa prospettiva, invece, il film diventa puro e semplice intrattenimento adolescenziale, spensierato e fracassone. Che in fondo è l'unico modo per godersi appieno un film del genere.


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