Lo stanzone sudicio di un manicomio criminale, una giovane suora di bianco vestita che rimane intrappolata con un centinaio di maniaci, il sorriso affilato di un Robert Englund finalmente mostrato senza trucco. Inizia così Nightmare 5 – Il mito (megalomane titolo italiano, ben diverso da The Dream Child della versione originale), sollazzando lo spettatore con indizi che fanno intendere il concepimento di uno dei più originali personaggi cinematografici di fine millennio. Originalità, una parola che impregnava il primo capitolo della saga creata da Wes Craven ma che si è andata mano a mano assottigliandosi, lasciando spazio a ripetitività e noia. Nonostante gli ottimi incassi di Nightmare 4, anche i boss della New Line Cinema capirono che un prodotto così proficuo andava lucidato con nuovo smalto se si voleva continuare a cavalcare la cresta dell’onda. Ovviamente l’idea di arrestare la saga prima di commettere un disastroso scivolone non passò nemmeno per l’anticamera del cervello di Shyne & co., i quali decisero invece di mettere in cantiere questo quinto capitolo affidando la regia a Stephen Hopkins (Predator 2, 1990; Lost in space, 1998) e la sceneggiatura a Leslie Bohem (Dante’s Peak, 1997, la serie tv Taken, 2002, prodotta da Spielberg). Per l’occasione venne rispolverata addirittura una vecchia bozza di script preparata da David Chaskin per Nightmare 2, poi scartata dalla produzione. Alice (sempre Lisa Wilcox) è incinta del suo boyfriend Dan (Danny Hassel) ma la lieta novella viene turbata quando scopre che quello che porta in grembo non è suo figlio, bensì l’incarnazione del maniaco Freddy Krueger (Robert Englund). L’unico modo per salvare se stessa e suo figlio da un inevitabile destino è quello di fronteggiare Krueger nel mondo dei sogni, prima che sia troppo tardi. La struttura della storia rimane fedele alla linee guida imposte dai primi quattro episodi: introduzione dei personaggi, resurrezione pretestuosa di Freddy (anche se qui avviene in modo decisamente originale), un concatenamento di realtà/sogni/omicidi che conducono allo scontro finale. Da questo punto di vista, quindi, non c’è nulla di nuovo sotto il sole, ma dei miglioramenti si ravvisano quando la regia decide di concentrarsi maggiormente sui personaggi e sul loro sviluppo psicologico, focalizzando l’attenzione su Alice e Freddy, sfruttando la loro lotta per conquistare la fiducia del nascituro Jacob (Whit Hertford). Degno di nota è l’ottimo lavoro dei reparti di scenografia ed effetti speciali, che creano atmosfere barocche e gotiche e sequenze oniriche davvero molto suggestive, raggiungendo forse l’apice più alto all’interno della saga. Le morti dei protagonisti si focalizzano attorno a deformazioni fisiche e metamorfosi della carne in un modo che riecheggia quasi David Cronenberg (che proprio in quegli anni raggiunse lo status di regista di culto con film quali Videodrome, 1983, e La mosca, 1986). Purtroppo questo non sarebbe stato sufficiente a saziare la fame di sangue dei fans, i quali non gradirono molto questa scelta stilistica. Un altro madornale passo falso fu quello di trasformare definitivamente Freddy Krueger da spietato orco che infesta i sogni degli adolescenti, a giullare di corte che sfrutta la dimensione onirica per le proprie buffonate. È vero affermare che è sempre stato nell’indole di Freddy ammiccare al pubblico con battute goliardiche (caratteristica che, peraltro, aiutò a consacrare il boogeyman a personaggio cult) ma qui la “comicità” di Freddy scivola dal grottesco per scadere quasi nel pecoreccio. Nonostante gli sforzi dei creatori e l’estrema suggestività delle scene oniriche, Nightmare 5 – Il mito risulta essere un horror stanco, che non fa paura e che fallisce nell’intento di portare un guizzo di originalità alla serie. Il successo commerciale arriverà comunque, ma i risultati non saranno stupefacenti come quelli ottenuti dai suoi predecessori (appena 22 milioni di dollari in patria, meno del primo episodio) il che fece intuire alla New Line che forse la sua gallina dalle uova d’oro stava imboccando il viale del tramonto.