Molti di noi ci sono cascati. Alzino la mano tutti quelli a cui è stato consigliato di vedere "il cartone con il cavallo" perché «fa morire dal ridere». E sì, in effetti faceva ridere questa Hollywood bizzarra, dove umani e animali antropomorfi convivevano, accodandosi a cartoni al vetriolo come i primi Simpson, South Park o Daria. Ma c'era anche dell'altro. Un senso latente di malessere e disagio, qualcosa che all'inizio si percepisce appena nascosto sotto la superficie.
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Un po' come in Californication, lo show con cui nel 2007 David Duchovny ha cercato di scrollarsi di dosso i panni del detective Fox Moulder. Tante sono le analogie tra queste due serie. Entrambi i protagonisti hanno un grosso successo alle spalle, ma sono giunti a un punto morto della loro carriera; entrambi hanno problemi con alcool e droghe (Hank Moody è anche sessodipendente); entrambi hanno rapporti a dir poco complessi con molti dei comprimari.
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Dove però una serie tv si ferma a un livello più superficiale, spesso in bilico tra grottesco e assurdo, un cartone animato (perché di questo si tratta) riesce, stagione dopo stagione, ad andare sempre più in profondità . Dubbi, perplessità , disagi, malesseri, ma anche situazioni complicate di vita quotidiana vengono a galla sempre più di frequente, diventando mano a mano le vere protagoniste dello show.
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In BoJack Horseman si ride, ma sempre di meno, e sempre a denti più stretti. Sotto i nostri occhi, senza che quasi nemmeno ce ne accorgiamo, iniziamo a empatizzare con quello stronzo, egoista e misogino di BoJack. Lo capiamo. Lo compatiamo. E non riusciamo a dargli torto, nemmeno quando compie le scelte più abiette e meschine.
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Ed è così che un cartone animato con protagonista un cavallo parlante si traforma in una terapia di gruppo per tutti gli spettatori di Netflix che seguono la serie. D'un tratto quello che stiamo guardando non è più solo satira e gag e frecciatine all'attualità , ma è qualcosa che parla al nostro inconscio. Qualcosa che, a fine episodio, ti lascia pietrificato sul divano facendoti rimuginare almeno un pochino su quanto hai appena visto.
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C'è un parco ben nutrito di personaggi e noi arriviamo a conoscere tutte le loro luci, ma soprattutto le ombre; un racconto corale che non scivola mai nella banalità e che alza costantemente l'asticella di ciò che è possibile mostrare in un cartone. E in mezzo a questa girandola di personaggi c'è sempre lui, bBoJack/b.
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Un catalizzatore di negatività . La sua ombra si allunga su tutti anche quando non è in scena. Cerca disperatamente di attirare su di sé l'attenzione sia dello spettatore, sia dei personaggi comprimari, ma il risultato è quello di trascinare tutti a fondo in una spirale autodistruttiva che pare non aver mai fine. In quante serie tv, giunti a una manciata di episodi dalla fine, vi siete fermati a riflettere su come avrebbe potuto concludere quella storia e la sola risposta che vi è venuta in mente è "con il suicidio del protagonista"?
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Sarebbe stato il modo più semplice per redimere un personaggio così nero e autodistruttivo.
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Tanto più se si considera che le più grandi svolte di trama e cambi di tono della storia avvengono in concomitanza di un funerale. Quello di Herb. Quello di Sarah Lynn. E poi ovviamente il monunetale episodio del funerale di Beatrice, la madre di BoJack, un unico monologo di 25 minuti, nemmeno fosse uno stand alone da cabarettista. Se avete voglia di rivederlo è il 5x06, Free Churro.
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Il funerale di BoJack sarebbe stato (forse) il modo perfetto per chiudere una serie del genere. E invece bRaphael Bob-Waksberg/b si spinge oltre, riuscendo a relegare questo discorso nel penultimo episodio, che altro non è che un viaggio nella testa di un suicida deve fare i conti con i suoi fantasmi del Natale passato. Se non è psicanalisi questa...
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La chiusura è molto più soft, molto meno nera, anche se di certo non meno amara. Dopo essersi ricongiunto con il proprio passato, BoJack riesce a mettere una pezza anche al suo presente, incontrando uno dopo l'altro i personaggi che gli sono stati accanto e a cui, a modo suo, ha voluto bene. L'amico/nemico Mr. Peanutbutter, il fedele Todd, la tormentata Princess Carolyn e per ultima, ovviamente, Diane. Il suo "grazie" a BoJack altro non è che la conferma che, in fondo in fondo, è possibile per chiunque di noi diventare una persona migliore.
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