Uno dei registi più militanti del nostro tempo torna a inquadrare i frammenti di una realtà spietata, dove umano e animale si confondono in modo feroce ma anche dove la fiducia è dolce e intramontabile.
Nel nord dell’Inghilterra, in un piccolo sobborgo proletario, il pensiero comune rimbalza da una pinta di birra alla miniera ormai chiusa. Gli abitanti sono spettri che vivono di ricordi, troppo nostalgici per disertare una realtà stantia.

Tra queste case aride e tutte uguali, si affaccia il pub di TJ Ballantyne, The Old Oak, dove ognuno esprime liberamente la propria opinione, tranne il padrone di casa.
In quest’aria stagnante arriva un pullman di siriani riusciti a fuggire dalle violenze della guerra del loro Paese. L’accoglienza è tutt’altro che ospitale e genera un’ingiustificata lotta tra poveri, secondo un copione che ci è fin troppo familiare. Tra queste vite spezzate c’è Yara, una delle poche profughe a conoscere la lingua inglese. Appassionata di fotografia, è in grado di vedere ponti dove chiunque altro alza muri e la prima connessione che crea con un abitante del posto è proprio con TJ.
Attraverso l’aiuto reciproco e la comprensione, insieme cercano di assistere le famiglie più povere, sia quelle locali che quelle siriane, aprendo nel pub una mensa gratuita ma non tutti sono entusiasti di questo progetto e gli ostacoli diventeranno insormontabili.
Ken Loach prosegue dritto lungo la strada delineata dal suo cinema: denunciare e combattere l’ingiustizia sociale, soprattutto quella del proletariato urbano inglese.
«La cattedrale non appartiene alla chiesa ma agli operai che l’hanno costruita», oppure «Mangiando insieme si resta insieme», affermazioni che appartengono al regista stesso espresse dal bravissimo Dave Turner.


I più critici hanno definito semplicistica la realizzazione dell’opera rispetto ad altri capolavori della filmografia loachiana, ma questo è un dramma commovente che si fa manifesto e al contempo sogno ad occhi aperti. Nel film non c’è posto per la metafora, e, pur non mancando di poesia, la visione è così dura da non nascondere ma esibire con dolorosa naturalezza.
Ken Loach, senza perdersi in possibili soluzioni a uno dei problemi più grandi della società contemporanea, illumina un’unica bandiera in un finale così pieno di speranza da sembrare impossibile.

TJ Ballantyne è un protagonista spiazzante: la sonorità del nome e la sua indole altruista ricordano un leggendario cavaliere medievale, mentre il suo passato e le sofferenze lo rendono un essere umano concreto, sempre in bilico sul baratro psicologico, finanziario e sociale. È l’unico personaggio che possiede una tenerezza disarmante, e, non a caso, è anche l’unico ad avere un rapporto di reale affetto con il proprio cane, in contrapposizione ai giovani borderline del sobborgo e i loro mastini incattiviti.

The Old Oak è una vicenda molto personale e congrua alla realtà del regista, che decide di rappresentarsi non attraverso uno dei protagonisti, ma come la stessa Vecchia Quercia che dopo tanti anni continua a restare aperta a fatica, in cui si coltivano i sogni ma ci si abbatte per le sconfitte.
Il cuore del locale è lo stesso di Loach, in cui la “speranza oscena” e la resa definitiva lottano continuamente. In un conflitto tra opposti, la vera contrapposizione si gioca negli spazi, il fuori e il dentro, l’apparenza e lo svelarsi. La corazza di rabbia con cui si vestono gli abitanti storici e la loro miseria nascosta nei frigoriferi vuoti, i veli con cui si coprono le donne siriane e l’accoglienza dei loro salotti fatta di tè e dolcetti.

Lo stesso pub ha una stanza principale e una seconda celata dove, tra fotografie e sentimenti, il protagonista può essere se stesso. Nel finale il luogo di incontro fra questi due mondi diventa proprio la soglia della casa di Yara, eletta a simbolo della solidarietà finalmente consolidata.
Per quanto possa sembrare il pub l’elemento chiave della storia, in realtà lo è la macchina fotografica. È il tramite tra Ballantyne e Yara, uno strumento che rende possibile il legame, proprio come le immagini delle vecchie lotte operaie e quelle scattate dalla ragazza che ritraggono persone di entrambe le etnie in armonia.


Con questo 27esimo film ci si potrebbe chiedere se Ken Loach abbia perso la speranza di un futuro migliore, unito e solidale, se questo finale immaginifico non sia troppo in contrasto con la cruda realtà. La risposta ce la rende il regista nell’ultima scena sulla spiaggia: la vita corre verso di te e, a volte, addirittura riesce a salvarti.

Genere: drammatico
Titolo originale: The Old Oak
Paese, anno: Belgio/Francia/UK, 2023
Regia: Ken Loach
Sceneggiatura: Paul Laverty
Fotografia: Robbie Ryan
Montaggio: Jonathan Morris
Interpreti: Alex White, Andy Dawson, Chris Braxton, Chris Gotts, Dave Turner, Debbie Honeywood, Ebla Mari, Joe Armstrong, Lloyd Mullings, Reuben Bainbridge, Rob Kirtley
Colonna sonora: George Fenton
Produzione: BBC Films, Les Films Du Fleuve, Sixteen Films, StudioCanal UK, Why Not Productions
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 113'
Data di uscita: 16/11/2023