Chi di noi non ha ricordi dei piccoli grandi traumi adolescenziali? Il passaggio dalla bambagia della scuola d’infanzia alla trincea del liceo, dove l’importanza del gruppo, del successo nello sport, nell’amore più che sui libri, diventa metafora fondamentale per la creazione di un io solido e vincente che ci proietterà verso uno splendido e aureo futuro? Balle! Come balle sono quelle che il piccolo Sam inizia ad inventare per cercare di inserirsi in una realtà che gli è in tutto e per tutto ostile, che sembra non vederlo o ignorarlo, lui con i suoi capelli da bimbo Kinder, le canottiere della salute, i gusti musicali retro, e l’amore di una famiglia presente e affettuosa, se possibile anche più retro di un jingle dei beach boys. E come per magia, senza neanche il bisogno di strofinare una lampada, ma al rompersi di uno specchio in cui non si vuole vedere la realtà che ci circonda, queste bugie iniziano magicamente ad avverarsi. Il piccolo e denigrato Sam diviene d’improvviso il ragazzo più desiderato della scuola, non solo dalle reginette delle feste, persino dalle insegnanti più sexy. Dall’alto del suo metro e cinquanta scarso, diventa il più forte playmaker della scuola di basket, la sua bicicletta si trasforma in una porshe da collezionista, e persino una star come Carmen Electra, (qui in esilarante versione dislessica) non può esimersi dal mostrargli tutta la sua ammirazione. Sam ha tutto quello che non aveva, mentre quello che possedeva inizia pian piano a sfasciarsi intorno a lui. La sua passione per i numeri viene improvvisamente offuscata, la sua tranquilla famiglia si trasforma nella brutta copia degli Osbourne ma, soprattutto, l’amicizia sincera dell’unica persona che sinora gli aveva mostrato tutto il suo appoggio, finisce per esser compromessa. Che fare allora se non desiderare paradossalmente che tutto torni come prima? Sam cerca disperatamente di tornare indietro, si rende conto che forse quello che possedeva ed era, era tutto ciò di cui aveva bisogno, ma non è così semplice e del resto, nella vita, non sempre si può tornare indietro. Fortuna che qui siamo in una finzione e, come nelle migliori delle fiabe, dopo aver appreso la morale della storia, tutto può tornare come prima, col valore aggiunto dell’aver imparato la lezione, dell’apprezzare quello che si ha, che forse non è così tanto vero che solo i bugiardi nella vita hanno successo, o, se lo hanno, non è detto che equivalga alla felicità . Nonostante il solito titolo italiano che poco o nulla c’entra con la trama, se non forzatamente nella verginità con cui il piccolo Sam si approccia alla cruda e odierna realtà collegiale, 14 anni vergine è una buona teen comedy senza pretese, che mischia discretamente tutti gli elementi chiave del genere, presentando anche dei crediti tecnici degni di nota, come l’ottima colonna sonora e il perfetto binomio fra una scenografia d’altri tempi che occhieggia a Grease o persino Happy days, ed una fotografia desaturata che è un vero piacere da gustare, polaroid sbiadita di una genuinità ed innocenza che, giorno dopo giorno, va sempre più perdendosi, nel cinema come nella vita di tutti i giorni.