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Big City

21/07/2008 10:00

Michelangelo Strati

Recensione Film, Film Commedia,

Big City

Opera seconda di un autore molto apprezzato in patria ma praticamente sconosciuto fuori dai confini francesi, Big City si rifà grosso modo (anche se con modalit

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Opera seconda di un autore molto apprezzato in patria ma praticamente sconosciuto fuori dai confini francesi, Big City si rifà grosso modo (anche se con modalità e forme diverse) a Piccoli Gangsters di Alan Parker, musical datato 1976 dove protagonisti erano dei ragazzini che si facevano la guerra a forza di torte in faccia e bignè alla crema al posto di pistole e mitragliette. L’idea di Djamel Bensalah è quella di ipotizzare un attacco da parte degli indiani ad un piccolo villaggio situato nel Far West, dopo il quale (quasi) tutta la popolazione è data per dispersa, tranne coloro che non hanno superato i dodici anni e che per la loro piccola età non sono stati arruolati per respingere l’assalto pellerossa. Unici maggiorenni superstiti sono l’ubriacone e lo “scemo” del villaggio. Dopo un iniziale quanto ovvia fase anarchica, i piccoli decidono di organizzarsi in modo tale che ognuno debba ricoprire il ruolo dei loro genitori, ereditandone in questa maniera vizi, virtù e ambizioni. Bensalah incornicia il tutto in una forma a metà tra il musical e la favola, trovandosi a dirigere dei piccoli interpreti che dimostrano di saperci fare davanti alla macchina da presa: convincenti, sagaci e perfetti nei panni degli adulti che tanto hanno avuto modo di osservare. Dimostra di saperci fare anche Bensalah, a suo agio nel raccontare una storia surreale eppure attuale, inserendoci elementi che da secoli appartengono al lato oscuro del genere umano, Ku Klux Klan, xenofobia e sete di potere che porta a minare l’apparente equilibrio raggiunto dalla nuova comunità.


Il film è pervaso da un misto di comicità e tenerezza che ben si adatta ai luoghi e alle situazioni rappresentate, mentre quando si cerca di spingere verso il tono moralizzatore non sempre si ha la sensazione di godere appieno del messaggio veicolato. Le idee ci sono e vengono anche sviluppate con coerenza e passione, forse sarebbe bastato togliere un po’ di minuti alla pellicola per farla apprezzare in pieno e non renderla, soprattutto verso la fine, eccessivamente carica di scene superflue. Strappano il sorriso molti spunti che Bensalah dispensa a più riprese, come la scena in cui tutto si ferma all’arrivo della bimba più bella ed ambita, senza dimenticare i quadretti esilaranti della prostituta che non perde la sua innocenza infantile e i fratellini Jefferson e Indipendance che dissertano sull’eguaglianza e sul rapporto fra bianchi e neri immersi in un lavaggio degno delle migliori pellicole western. Un film che i ragazzi non faranno fatica ad apprezzare e che riuscirà anche a smuovere qualcosina a chi ha già molte primavere alle sue spalle senza avere alcuna pretesa di dare chissà quale messaggio, bensì di divertire e fare sorridere (e di questi tempi è diventata impresa assai ardua).


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