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State of Play

18/04/2009 11:00

Marco D'Amato

Recensione Film,

State of Play

Kevin MacDonald, apprezzato documentarista - premio Oscar per Un giorno a Settembre e in seguito regista de L’ultimo re di Scozia - dirige quest’intricato giall

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Kevin MacDonald, apprezzato documentarista - premio Oscar per Un giorno a Settembre e in seguito regista de L’ultimo re di Scozia - dirige quest’intricato giallo, trasposizione sul grande schermo della fortunatissima miniserie omonima scritta da Paul Abbott e trasmessa dalla BBC. I punti di forza della pellicola sono essenzialmente due: una storia decisamente avvincente che si fa seguire con attenzione e gradevolezza, senza risultare mai pesante nonostante la durata (più di due ore), e l’ottima prova di Russel Crowe.


La trama, che non si discosta molto da quella della serie televisiva, ci proietta nel complesso intreccio di due mondi ben distinti, la politica e il giornalismo, a cui appartengono i due protagonisti, amici di vecchia data: il deputato Stephen Collins (Ben Affleck) e il newsreporter Cal McAffrey (Russel Crowe). La prima ci viene presentata come un’enorme piovra, i cui infiniti tentacoli possono arrivare ovunque: una complessa rete di favori e restituzioni, di interessi personali e lobbistici, una facciata populista che copre una miriade di interessi finanziari, giochi di potere e guadagni miliardari; un mostro pronto a lucrare su qualsiasi cosa e pronto a schiacciare chiunque pur di poter continuare a oliare gli ingranaggi del Potere. Dall’altra parte il giornalismo, quello della carta stampata, un universo entrato in profonda crisi, impotente di fronte alla progressiva perdita di lettori e di prestigio causata da Internet, dai blogs e dalle news disponibili in tempo reale sui siti di tutto il mondo: la vita in redazione diventa una continua e imbarazzante scelta tra il vecchio, sano ma scarsamente vendibile giornalismo d’inchiesta e la ricerca dello scoop a tutti i costi, anche di bassa lega, allo scopo di attrarre il maggior numero di lettori possibile.


Stephen Collins è stato contagiato dal mondo malato in cui si muove: pur combattendo una giusta battaglia contro una lobby di ex militari che mira a privatizzare l’intero settore della Sicurezza Nazionale, si rivela un uomo meschino, pieno di contraddizioni e scheletri nell’armadio: i rimandi agli scandali americani degli ultimi quarant’anni, dal Watergate di Nixon al Sexgate di Clinton, sono piuttosto evidenti. Cal McAffrey rappresenta il suo alter ego: reporter della vecchia scuola, abituato a indagare per conto suo e sul campo, si trova a confrontarsi con la giovane collega Della Frye (Rachel McAdams), formatasi con i blog e le ricerche sul web, e con la vulcanica direttrice della testata Cameron Lynne (Helen Mirren), costretta ad affrontare il consistente calo delle vendite e alla disperata ricerca di una storia che possa far fare il grande salto al giornale. Anche Cal si trova ad affrontare le sue miserie di uomo, il suo rapporto tormentato di odio-amore con Stephen e la moglie Anne, e di giornalista, che mette da parte l’obiettività per correre in aiuto del suo amico: una battaglia continua tra la volontà di lasciarsi alle spalle i sensi di colpa e quella di scrivere l’articolo della vita. Se Russel Crowe interpreta alla perfezione il ruolo del reporter burbero, smanioso di arrivare alla verità a tutti i costi, decisamente poco convincente risulta Ben Affleck, francamente troppo giovane per essere un compagno di college di Crowe, e troppo forzato nella recitazione; probabilmente Edward Norton, inizialmente scelto per questa parte, avrebbe lasciato il segno.


Qualche aspetto passibile di miglioramento: la poco verosimigliante pretesa che la polizia venga costantemente anticipata da due giornalisti in un caso di rilevanza nazionale; il rapporto tra Cal e Della, appena accennato e decisamente troppo hollywoodiano tanto che si passa dall’odio alla felice cooperazione nel giro di qualche inquadratura. Le pecche sono, però, abbondantemente compensate da uno sviluppo classico, senza sparatorie disturbanti, effetti speciali a raffica e armi da guerra nucleare. La bella scena che accompagna i titoli di coda ci permette di “scortare” i quotidiani nel loro viaggio dalle rotative all’edicola.


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