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Watchmen

20/05/2009 10:00

Marco Cecini

Recensione Film, Snyder Story, Zack Snyder,

Watchmen

L’adattamento cinematografico tentato da Zack Snyder si fonda su quella che molti considerano la più grande graphic novel di tutti i tempi: scritto dal britanni

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L’adattamento cinematografico tentato da Zack Snyder si fonda su quella che molti considerano la più grande graphic novel di tutti i tempi: scritto dal britannico Alan Moore (V per Vendetta, From Hell, La Lega degli Straordinari Gentlemen) e disegnato dal connazionale Dave Gibbons nel 1986, Watchmen rimane l’unico fumetto ad essersi fregiato del prestigioso premio letterario Hugo, e ad essere stato inserito nella classifica dei 100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi. Una prima ovvietà risiede nel riconoscimento a Zack Snyder, regista al suo terzo film dopo L’alba dei morti viventi e 300, di un evidente e coraggioso “titanismo” nell’aver voluto cimentare il mezzo cinematografico con alcune delle più ostiche e valevoli icone della Nona Arte. Bisogna poi considerare i limiti non ancora del tutto esplorati del significato di “adattamento” di un’opera cartacea a film: per essere riuscito un adattamento cinematografico deve essere fedele alla sua controparte cartacea, o deve saper cavalcare il mezzo anche a costo di distaccarsi dall’originale, sfruttando le vastissime potenzialità del grande schermo?


La più grande fortuna di un regista è spesso anche la sua più terribile maledizione: quella di poter attingere a del materiale di base talmente ricco da risultare soverchiante. Siamo in un ipotetico 1985, e la società americana vive in uno straniante senso di fatalismo violento e autoritarista, le cui follie di massa sono acuite dalla percezione di un’imminente catastrofe nucleare. Sullo sfondo della crisi politica fra USA e URSS, il mondo ha assistito all’avvento dei supereroi mascherati, metafora del rigurgito giustizialista e antigarantista di una società sempre più caratterizzata dall’egoismo di massa, che alla fine si rivolta contro le sue stesse creazioni. Simboli dell’America di quegli anni violenti e di un’ipocrisia sociale paradossalmente massificata solo laddove c’è da garantire gli egoistici interessi individuali, anche gli eroi perdono la loro innocenza ideale e si fanno paranoici e violenti, lasciando che dalla fine di un’epoca eroica emergano solo le figure più estreme: il Comico, che si fa interprete e bandiera della follia collettiva, e Rorschach, che rimane coerente con le sue idee e il suo credo finanche alla negazione della realtà e alla psicosi. L’assassinio del Comico, icona perversa di un’umanità alla deriva e unico superstite di quel supereroismo un tempo sposato dalla società e poi ripudiato, scatena la macchina della narrazione lasciando che ogni protagonista diventi archetipo e portabandiera di una rappresentazione intellettuale dell’uomo. Catastrofismo e teoria del complotto, determinismo, realismo, autoritarismo, divismo e anti-venerazione, celebrazione della Memoria e culto degli eroi, megalomania, tutte caratterizzazioni fondanti dell’animo umano, incessantemente alla ricerca di una giusta serenità, incalzato dal procedere del tempo e dalla perdita della propria purezza in misura maggiore ad ogni suo passo. All'interno del contesto didascalico e morale creato dalla storia, e agli occhi di Manhattan, divinità la cui definizione si declina con l’apatia, l'umanità appare orrendamente ritratta: infantile, spietata, debole, egoista, immeritevole di quel miracolo del caso che è la sua vita. Spetta a esseri più grandi e superiori, per intelletto e potenzialità, impedire che essa si autodistrugga.


In questo mare di input intellettuali, il lavoro di Snyder è altalenante e contraddittorio, in balia di un’opera talmente vasta e variegata da risultare incontrollabile. La pellicola sceglie di concentrare la sua attenzione più sui demoni personali dei suoi protagonisti, piuttosto che sulla rappresentazione spaesata e nichilista del genere umano. Il senso di alienazione, di frustrazione, di rabbia e di riscatto che il lettore prova alla fine della lettura del romanzo grafico, vengono solo parzialmente ricreati da un regista che, nondimeno, riesce a scrivere alcune mirabili pagine di cinema. Zack Snyder non compie miracoli, ma con umiltà, talento e dedizione si mette al servizio del capolavoro di Alan Moore e regala alcune sequenze di grandissima ispirazione. Basti pensare agli imponenti titoli di testa, o alla monumentale scena su Marte, dove il meccanicismo di Manhattan viene mirabilmente ricreato attraverso il palazzo da lui ricavato dalle sabbie marziane, iconograficamente strutturato per essere un richiamo a quell’orologio perfetto che per il Dottore è alla fine dei conti la vita del cosmo. La fotografia eccellente, i costumi d’effetto, i dialoghi e le sequenze di alcune scene girate in fedele trasposizione del corrispettivo cartaceo rappresentano un imponente tributo al fumetto, ma non solo. Come già aveva tentato in 300, Snyder sfrutta questa sua occasione per regalare ai posteri un altro grande esperimento di cinema, trasformando Watchmen, al di là del gusto soggettivo, in qualcosa di mai visto prima. Discutibile risulta invece la scelta della colonna sonora: mentre può risultare del tutto apprezzabile in alcuni frangenti, come ad esempio per l’ouverture affidata a The Times They Are A’ Changin di Bob Dylan, altre volte la scelta è del tutto fuori luogo: è come se Snyder si sentisse quasi in dovere di inserire delle canzoni nella sua pellicola solo perché citate nella opera di Moore, non preoccupandosi della loro attinenza al contesto filmico; altre volte poi, la citazione ad illustri predecessori del grande schermo risulta fin troppo scontata, come nella scena di guerra in Vietnam sulle note de La Cavalcata delle Valchirie, omaggio ad Apocalypse Now.


Il finale, alternativo al fumetto e interessante nella sua innovazione, manca però del pathos che ci si aspetta dalla conclusione di una grande epica. Pensare che, di fronte al destino del mondo e all’estinzione della razza umana, come pure dinanzi a una difficile scelta morale, il tutto si riduca a semplice distinzione manichea, e risolta per di più con una rumorosa rissa, risulta poco accettabile. Pur con tutte le sue ambiguità, Watchmen resta comunque un film godibile, appassionante per lo spettatore sprovvisto di cultura fumettistica, appagante per il lettore di vecchia data, che pur rimanendo legato al capolavoro cartaceo, potrà osservare con piacere gli eroi del fumetto prendere vita.


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