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Carnage

21/09/2011 10:00

Marco D'Amato

Recensione Film,

Carnage

Mettete un gruppo di persone qualsiasi e costringetele in un luogo chiuso, in preda a uno stress emotivo in progressiva crescita: chi meglio di Roman Polanski p

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Mettete un gruppo di persone qualsiasi e costringetele in un luogo chiuso, in preda a uno stress emotivo in progressiva crescita: chi meglio di Roman Polanski potrebbe descrivere le sconvolgenti reazioni a catena provocate da un tale calderone in ebollizione? L’oppressione portata da quattro mura dalle quali non si può evadere e le dinamiche che si creano tra gli uomini in situazioni di forte tensione e rivalità sono topoi fondanti della cinematografia del regista polacco, elementi centrali che lui ha fatto ruotare spesso nei cinquanta anni di carriera per svilupparli e leggerli con ogni tipo di chiave di lettura: dalla soffocante ansia de Il coltello nell’acqua alla commedia fantastica di Per favore non mordermi sul collo, dall’incipiente follia de L’inquilino del terzo piano all’orrore di Rosemary’s baby. Questo Carnage non fa eccezione alla regola: tratto dall’acclamatissima opera teatrale Il dio della carneficina della drammaturga francese Yasmina Reza, il film mette su pellicola le schermaglie di due famiglie di New York, i Longstreet e i Cowan, nell’angusto scenario del salotto di casa Longstreet.


Un breve antefatto ci spiega il motivo del rendez-vous: durante la ricreazione il figlio dei Cowan colpisce con un bastone il figlio dei Longstreet rompendogli due denti. Senza alcuna ellisse (è difficile anche solo da immaginare un film senza ellissi!) Polanski inscena le nefaste conseguenze che si scatenano in un incontro nato sotto i migliori auspici, con la ferma intenzione di chiarirsi e scusarsi a vicenda per l’accaduto. La tensione è destinata a salire gradualmente: una battuta mal compresa, una frecciatina stizzita, un commento fuori luogo, un atteggiamento sgradito e lentamente la patina di buonismo e civiltà inizia a mostrare crepe sempre più vistose, avvisaglie dell’imminente crollo dell’intera impalcatura tirata su con senso civico di facciata unito a malta di scarsissima qualità.


L’impostazione teatrale è chiarissima: c’è un palcoscenico costituito dal salone dei Longstreet (con un breve, divertentissimo, intermezzo nel bagno e uno sul pianerottolo) e quattro attori a calcarlo. Penelope Longstreet (Jodie Foster) è un’attivista imbevuta di senso civico e cultura: si interessa dei problemi dell’Africa, adora le arti e sventola la sua moralità come una bandiera. Il marito Michael (John C. Reilly) è un bonaccione più portato alla mediazione e alla tranquillità che all’azione e all’impegno: non vuole problemi e fa di tutto per non crearli. Nancy Cowan (Kate Winslet) è una donna in carriera, bella, ben vestita, forbita, luminosa, impeccabile; suo marito Alan (Christoph Waltz), di mestiere avvocato, è uno squalo: concentrato unicamente su se stesso, cinico e spietato. Vive attaccato al telefonino che diventa il vero e proprio quinto personaggio della pièce.


L’incontro amichevole si tramuta rapidamente in una tana di serpi dalla quale ognuno tira fuori il peggio di sé, la sua natura più int(/f)ima. Dai complimenti alle coltellate a tradimento, dalle spiegazioni agli insulti, dalle scuse alle offese, dalla civiltà alla giungla. La pacifica Penelope diventa una iena isterica, la sofisticata Nancy un’ubriacona da bettola, il cerchiobottista Michael un rozzissimo, esecrabile cafone. L’unico che non cambia è Alan: lui è già un mostro e in questo fosco tramonto del Genere Umano lui ci sguazza, ghignante, come un’orca affamata davanti a un gruppo di grasse, inermi, foche. Le posizioni di partenza del quartetto si stravolgono lentamente e si creano insospettabili alleanze e plateali tradimenti fino al fragoroso epilogo. Dialoghi memorabili e un poker di attori in forma smagliante, sui cui spicca un Waltz semplicemente spettacolare: Polanski dipinge l’affresco di una società che si nasconde dietro una civiltà di facciata e che aspetta solo il più futile motivo (intinto in un goccio d’alcol) per rivelare la sua vera natura rozza, violenta e ipocrita. Carnage (massacro) è il titolo perfetto per un’ora e un quarto di divertentissimo eccidio civile.


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