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John Carter

10/03/2012 11:00

Aurora Tamigio

Recensione Film, John Carter,

John Carter

Una produzione targata Disney Pixar per la trasposizione cinematografica della saga fantascientifica di Edgar Rice Burroughs che narra le avventure di John Cart

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Una produzione targata Disney Pixar per la trasposizione cinematografica della saga fantascientifica di Edgar Rice Burroughs che narra le avventure di John Carter, ex cavalleggero della guerra civile teletrasportato su Marte durante una “guerra fra mondi”. Ispira in particolare questo primo film il romanzo che dà inizio alla serie, A Princess of Mars (conosciuto anche come Under the Moons of Mars), pubblicato nel 1912. A voler portare al cinema la storia, è stato il regista Andrew Stanton, fan della saga di Burroughs fin dall’infanzia. Gli appassionati dell’animazione non potranno non collegare al nome di Stanton alcuni dei maggiori successi Disney degli ultimi anni, da Toy Story a Bug’s Life, da Monsters & co. a Ratatouille e Up, fino al premiatissimo Wall-E, vincitore tra gli altri di un Golden Globe e di un Oscar per Miglior Film Animato nel 2008.


John Carter (Taylor Kitsch), ex ufficiale dell’esercito confederato della Virginia, trova rifugio, da un inseguimento di indiani e soldati, in una misteriosa caverna. Qui si scontra con un inquietante personaggio al quale, dopo averlo ucciso, strappa un medaglione che lo teletrasporterà in un’altra dimensione, sul pianeta Barsoom, ovvero Marte. Suo malgrado Carter, dotato dall’assenza di gravità di una straordinaria agilità e forza, viene coinvolto nella “guerra civile” tra i diversi regni del pianeta che lo ospita: i Thark, Zodanga e Helium. Tra creature fantastiche, sovrani malvagi, crudeli consiglieri, Carter si troverà a combattere al fianco dei Thark, per salvare il pianeta e la bella principessa di Helium, Dejah (Lynn Collins), dalla crudele conquista del perfido Zodanga.


Oltre quattro mesi di lavorazione, tra Londra e lo Utah, per ricostruire sui set le sterminate pianure marziane e gli ambienti futuristici, solo in seguito rielaborati digitalmente. Ogni particolare fantascientifico è stato curato nei minimi dettagli, dalla creazione dei personaggi dei Thark, alti più di due metri e con 4 braccia, ai voli sulle macchine volanti di Zodanga fino alle acrobazie del protagonista non soggetto a gravità, per raggiungere la giusta dose di visionarietà e spettacolarità. Del resto la squadra tecnica del film vanta alcuni dei più celebri nomi dei professionisti del fantasy e dell’avventura: lo scenografo degli ultimi due Batman, Nathan Crowley, la costumista di Avatar e Apocalypto, Mayes C. Rubeo, l’animazione di Sue Rowe (Prince of Persia, La bussola d’oro), gli effetti speciali di Eric Brevig (Man in Black, Pearl Harbour, Signs), la fotografia di Dan Mindel (Star Trek, Mission Impossible III). Gli ingredienti della cinematografia americana dai larghi incassi ci sono tutti: elementi fantascientifici come la storia del Nono Raggio, la capacità di controllare le menti, di ricreare oceani dove non c’è acqua, di teletrasportare un uomo da un pianeta all’altro. Si assiste così a battaglie spettacolari tra creature fantastiche, con mezzi di trasporto ed armi eccezionali, alla creazione di mondi e regni immaginari; c’è il sostrato storico della guerra di Secessione americana con il protagonista pacifista (o almeno vorrebbe esserlo). Non ultima, si inserisce la storia d’amore interplanetaria, tra John e la principessa Dejah, promessa al malvagio Jeddak di Zodanga.


John Carter è un film che non disattende le aspettative, la vicenda segue il ritmo veloce dell’avventura, le meravigliose immagini vengono valorizzate dal 3D, gli attori – in forma umana e non – si districano tra piroette, salti e battaglie e, in qualche caso – come per Willem Dafoe, che intepreta Tars Tarkas, capo dei Thark - danno un'ottima prova interpretativa. Tuttavia Stanton non si accontenta di creare un film tecnicamente perfetto, credibile, nonostante gli alieni e le battaglie combattute fra le lune di Marte. Sparsi nella sceneggiatura non mancano gli inevitabili riferimenti al pacifismo, all’emarginazione, alla condanna della guerra, all’incontro fra esseri diversi. Questa spolverata di temi sociali risulta evitabile almeno quanto l’esigenza di ricreare un prologo, che riduce l’intera vicenda ad un flashback attraverso le parole scritte di John al nipote, e costringe il regista ad un improbabile finale, che lascia aperte le porte al sequel, ma che toglie alla pellicola tutta la trepidazione dell’attesa che in una saga letteraria separa un romanzo dal successivo. È quando Stanton insegue l’insegnamento morale che il film perde un po’ della sua verve, virando in un buonismo sentimentale decisamente fuori luogo in una pellicola d’avventura, per il resto, così ben riuscita.


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