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Prometheus

11/09/2012 10:00

Roberto Semprebene

Recensione Film, Alien, prometheus, alien vs predator, AVP, promecovenant,

Prometheus

Ridley Scott torna a far riferimento alla paura, declinandola in volontà di conoscere

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Nel 1979 Ridley Scott ha settato degli standard di un genere, che fonde la fantascienza con l’horror per esprimere in qualche modo la paura dell’ignoto atavicamente radicata nel genere umano. Con Prometheus il regista britannico torna a far riferimento a quella paura, declinandola nel suo corrispettivo gnoseologico: la volontà di conoscere, di scoprire e di avvicinarsi alle risposte che da sempre l’uomo cerca: chi siamo? Da dove veniamo? Queste le premesse teoriche di un film che, seppur incapace di inserirsi pienamente nella serie di Alien, di cui rappresenta una sorta di prequel/spin-off ambientato decenni dopo l'originale, non manca di spunti di riflessione legati ad esso indirettamente, ponendo in autonomia le basi di una ricerca che, possiamo dirlo senza sorprendere nessuno, non porta ad alcun risultato certo.


Prometheus è il nome del Titano che sfidò gli dei per donare il fuoco agli esseri umani e con tale dono elevarne l’essenza. Tale nome viene dato ad un’astronave mandata alla ricerca di un particolare pianeta che, in base alle scoperte di due archeologi (Noomi Rapace e Logan Marshall-Green) si suppone essere la patria di una razza aliena cui forse la razza umana dovrebbe la propria esistenza. La nave, finanziata da un magnate (Guy Pierce) in punto di morte e governata da un androide (Michael Fassbender), durante il sonno criogenico dell’equipaggio, raggiunge effettivamente un pianeta, ma quanto la spedizione vi troverà potrebbe non corrispondere ai sogni e alle speranze degli esploratori.


Nel prepararsi alla visione di Prometheus, una buona norma da consigliare potrebbe essere quella di non tenere in considerazione la saga di cui fa parte, ma considerarlo come un film a sé stante, per altro fortemente indirizzato verso una chiave di lettura che trascende l'elemento fantascientifico. Questo anelito filosofico è il limite maggiore di un film che per il resto non presenta grandi pecche e al quale anzi si possono riconoscere pregi come gli effetti speciali, alcune sequenze di un certo impatto – su tutte quella, inverosimile ma impressionante, del parto cesareo autogestito – e un mix d’azione, umorismo - a piccole dosi - e dialoghi ben scritti che intrattiene in modo efficace. Ciò detto, non si tratta solo della pretesa di avanzare complesse riflessioni attraverso tale messa in scena a lasciare perplessi, ma anche l’operazione in sé: le aspettative su questo film, legate al binomio Scott/Alien, non possono essere soddisfatte poiché il rimando alla pellicola del 1979 è del tutto superfluo e probabilmente tale da costringere Scott ad una serie di forzature. Il rapporto con la divinità e con il senso del sacro, la dicotomia scienza-fede, il tema della creazione e della riproduzione sono gli elementi più marcatamente presenti nel film, in parte esplicitati in modo anche divertente nei dialoghi fra gli umani e l’androide David, quest'ultimo vero cardine della storia e probabilmente il personaggio meglio costruito, caratterizzato e recitato. Prometheus lascia sensazioni indefinite: Scott propone un racconto dalle premesse eccessive che, risultando troppo labili, si sfilacciano nell'arco della narrazione. Di contro l’azione non prende mai totalmente il sopravvento e non consente quindi di calarsi nell’ottica del classico film di fantascienza di puro intrattenimento.


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