Presentato in concorso al Courmayeur Noir In Festival, L'innocenza di Clara è il nuovo film di Toni d'Angelo che, dopo la parentesi documentaristica di Poeti del 2009, torna al cinema di finzione con una pellicola che egli stesso definisce «un noir classico con la femme fatale che si muove quasi del tutto inconsapevolmente». Biondissima e algida, come da migliore tradizione hitchcockiana e noir anni ’40, Chiara Conti impersonifica questa sirena che ammalia qualsiasi uomo le graviti attorno, dando il via a situazioni che in breve tempo sfuggono da ogni controllo. Ne sanno qualcosa Luca Lionello e Alberto Gimignani, interpreti dei due protagonisti che incappano nella rete di Clara. Maurizio e Giovanni sono due quarantenni, amici fin dall’infanzia. Il primo lavora in una cava di marmo della Lunigiana, vendendo prestigioso marmo di Carrara. Il secondo, invece, fa una vita casalinga tranquilla, divisa tra l’educazione della figlia Angela (Irena Goloubeva) e un laboratorio in cui crea piccoli manufatti in marmo, spesso di influenza religiosa. Tra cene casarecce e sedute di caccia nei boschi circostanti, Maurizio e Giovanni conducono vite scandite dalla routine. Tutto cambia quando Maurizio si innamora della bella Clara, una donna misteriosa che in breve tempo diventa sua moglie. La donna, tuttavia, tutt’altro che abituata alle lunghe giornate della Lunigiana, e incapace di resistere nei panni della donna di casa, darà via suo malgrado ad una successione di eventi tragici. In un mondo di lunghi silenzi, di echi che si perdono nelle ampie distanze tra un’abitazione e l’altra, nei boschi della Lunigiana, unico raggio di sole non può non essere una donna che irretisce chiunque entri nel suo mondo: non solo i due protagonisti, ma anche la piccola Angela che, sentendosi incompresa dalla sua famiglia, cerca nell’ultima arrivata un appiglio per non affogare in un’esistenza scialba e piena di insoddisfazione. Quando, però, Clara si innamora di Maurizio, sentendosi da lui ricambiata, la donna mette da parte il suo potere di seduzione e cerca di amalgamarsi agli usi e costumi del luogo. Con la fede al dito, Clara cerca di calarsi nei panni della moglie perfetta, ma le lunghe assenze di Maurizio, e gli spettri del suo passato, la costringono a fare i conti con le proprie spinte caratteriali. La messa in scena che ne consegue è claustrofobica, dove le case diventano immense gabbie, il corpo un’altra prigione dalla quale è inutile scappare, e i rumori della natura e dei macchinari che scavano nel marmo i simboli dell'interiorità dei protagonisti. L'innocenza di Clara non riesce a riemergere da un vuoto esistenziale che investe lo stesso carattere della pellicola. La sceneggiatura, caotica e lacunosa, non scioglie i nodi - potenzialmente molto interessanti - che intrica. Della seduzione di cui Clara si fa portatrice non si avverte il peso, né l’irresistibilità , e tutte le tensioni emotive che dovrebbero esplodere vengono adagiate su un livello superficiale che non scende mai fino in fondo. La regia, puntuale nella costruzione delle inquadrature e degli ambienti, spesso pecca di manierismo e autocompiacimento – è il caso, ad esempio, delle due sequenze in cui la macchina da presa riprende i protagonisti in un bar, spiandoli da un bicchiere al limite del quadro. Quasi un tentativo di arginare i danni con un tipo di messa in scena che a volte si perde in reiterazioni inutili, e che ottiene l'unico risultato di rallentare un racconto già di per sé piuttosto fiacco.