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Senza nessuna pietà

02/09/2014 10:00

Aurora Tamigio

Recensione Film,

Senza nessuna pietà

Mimmo (Pierfrancesco Favino) si divide tra il lavoro in cantiere e gli incarichi criminali che gli vengono assegnati, suo malgrado, dallo zio (Ninetto Davoli),

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Mimmo (Pierfrancesco Favino) si divide tra il lavoro in cantiere e gli incarichi criminali che gli vengono assegnati, suo malgrado, dallo zio (Ninetto Davoli), boss di un clan malavitoso romano. Quando il pericoloso cugino Manuel (Adriano Giannini), gli ordina di andare a prendere Tanya (Greta Scarano), una giovane escort su cui ha messo gli occhi, Mimmo deve obbedire. Sarà però proprio l’incontro con la bella prostituta ad offrire a Mimmo l’occasione che cercava per rompere le righe e scappare da una vita di violenza mai accettata fino in fondo.


Se il passato attoriale, la formazione e l’immaginario di Michele Alhaique sono radicatamente romani, la sua opera prima da regista è un film che fa bene all’intero cinema italiano. Non fosse altro per le ambientazioni nella grigia (ma poetica) periferia della Capitale, per la vicenda drammaticamente criminale e per la presenza nel cast di Ninetto Davoli, Senza nessuna pietà rievoca un’altra epoca cinematografica, in cui i film “cattivi” non erano solo un affare d’oltreoceano. Per il suo esordio, infatti, Alhaique sceglie un tema tutt’altro che semplice, adatto a essere presentato nella sezione Orizzonti di Venezia71 e a destare, anche qui, lo stupore – più o meno scettico – della critica. Pur con la sua trama noir piuttosto tradizionale, Senza nessuna pietà è un film che se da un lato evoca atmosfere gangster in stile Scarface, dall’altra propone un'indagine del personaggio criminale che ha molto del cinema francese e una tensione drammatica tutta italiana.


Conscio delle pecche che prevedibilmente il suo film avrebbe avuto, primo fra tutti il noto difetto degli attori-registi di privilegiare la recitazione sulla sceneggiatura, Michele Alhaique fa di questo scivolone un punto di forza, poggiando proprio sulle spalle del cast il peso del suo esordio. Pierfrancesco Favino torna a cimentarsi con un ruolo criminale, stavolta però colmo di dubbi e di sfaccettature romantiche che ne confermano il talento eclettico. Pur affiancato dalle buone prove di Greta Scarano, una rara sorpresa che viene dal piccolo schermo, e Claudio Gioè, miglior comprimario del fim, quella di Favino è soprattutto un’interpretazione in assolo, che mette in ombra anche lo stesso Davoli. Ingenua, a tratti semplicistica e qualche volta fin troppo rosa, la sceneggiatura del film di Alhaique non manca in qualche caso di fare sorridere per la sbrigatività con cui vengono risolte certe dinamiche fra i personaggi in favore dello svolgimento romance fra i due protagonisti; tuttavia risulta nettamente dominante il ritmo incalzante con cui il regista è in grado di calare lo spettatore nella fuga di Mimmo dal proprio destino di ferocia. E se dell’idea cinematografica dell’amore salvifico, almeno nella romantica Italia, non ci si stanca mai, la cura dei dettagli - dalla fotografia alle scenografie sino alla colonna sonora – sono un’accortezza atipica per un’opera prima ma soprattutto per un prodotto del cinema nostrano. Di fronte infatti a un film tanto curato, ben diretto e egregiamente recitato, sufficientemente avvincente da non annoiare ma abbastanza struggente da catturare i nostalgici con l’epica dei vinti, i più ottimisti possono infatti ancora ben sperare nella rivincita del cinema made in Italy, anche nelle competizioni ufficiali.


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