Hana (Alba Rohrwacher) vive e cresce in un piccolo villaggio albanese, al fianco dell'uomo che l'ha presa con sé dopo essere rimasta orfana. Abbandonata anche dalla sorellastra Lila, trasferitasi a Milano, Hana vive in un contesto ancora retrogrado e ancorato a vecchie tradizioni maschili e maschiliste, in cui la donna è considerata un oggetto, con l'unico ruolo civile e sociale di essere strumento per la realizzazione dell'uomo. La ragazza non ci sta: con i suoi atteggiamenti maschili e un'anima che agogna libertà, accetta un vecchio rituale albanese che la porta a diventare una “vergine giurata”, a trasformarsi socialmente in un uomo pur non essendolo nel fisico. Hana diventa così Mark. Ancora una volta, tuttavia, sente di non essere del tutto a proprio agio negli abiti (fisici e spirituali) che indossa: raggiunge così la sorella a Milano, entra in confidenza con sua nipote e tenta di scoprire la propria identità. Stavolta fino in fondo. Vergine Giurata, tratto dall'omonimo romanzo della scrittrice albanese Elvira Dones, è il primo lungometraggio della regista Laura Bispuri che, con il suo debutto, è stata scelta immediatamente come una delle voci in concorso al Festival di Berlino 2015. A ben guardare, Vergine Giurata è in effetti un film che si sveste della sua natura locale e si offre a un respiro più internazionale che non va a toccare l'appartenenza civica a un determinato stato quanto il desiderio atavico di ogni essere umano di scoprire se stesso, di costruirsi una propria identità. Il personaggio di Hana è imbevuto fino all'orlo di questa ricerca quasi ossessiva: è una vagabonda dell'anima, uno spirito errante che studia il proprio corpo, lo rimodella, in qualche modo ci gioca. Non a caso la regista – attenta a sottolineare questa ricerca di identità – mostra la scoperta del sesso non subito nell'amplesso di due corpi ma soprattutto attraverso la masturbazione. Questo perché il viaggio di Hana è, essenzialmente, individuale: deve conoscere se stessa, imparare i contorni del suo corpo per poter capire chi è e cosa può diventare. In un continuo altalenare tra passato e presente, così come tra tradizionale e moderno, tra est e ovest, Vergine Giurata è un ottimo debutto. Una storia affascinante e inattesa, che non si ferma davanti a niente e non si vergogna di mostrare le varie trasformazioni mentali, fisiche e di genere che la sua protagonista decide volontariamente di affrontare. In questo senso quella della Bispuri è un'opera innovativa: la figura femminile plasma il proprio corpo non più per piacere a un uomo o per riaffermare se stessa, ma per il semplice fatto di esistere, di scoprire la propria concretezza e il proprio posto nel mondo. Nonostante queste alte intenzioni e la buona riuscita di una regia consapevole e solida, va aggiunto che il film a volte si dilunga in scene dal sapore retorico e usa un imponente minutaggio per seguire movimenti a volte velleitari. Soprattutto, però, la Bispuri si perde in silenzi che, in alcuni casi, rischiano di diventare veramente estenuanti. La scelta inoltre di usare toni freddi, che hanno la stessa glacialità di una regia volta a rimanere il più imparziale possibile, ha il deficit di allontanare lo spettatore dal racconto per tenerlo a debita distanza.