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Lo chiamavano Jeeg Robot

25/10/2015 12:00

Erika Pomella

Recensione Film,

Lo chiamavano Jeeg Robot

Un film da cui il cinema italiano può ripartire

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Un uomo corre, tagliando i vicoli romani, cercando di lasciarsi alle spalle le ombre di due inseguitori che sembrano non avere buone intenzioni. Enzo (Claudio Santamaria), ladruncolo da quattro soldi, a un passo dalla misantropia, continua a scappare finché un incidente nelle profondità del biondo Tevere lo fa entrare in contatto con una sostanza radioattiva che gli concede una forza senza uguali. Enzo utilizza così i suoi nuovi poteri per poter ingrandire i suoi colpi, per rubare soldi senza paura di essere colpito. La cosa non sfugge allo Zingaro (Luca Marinelli), leader sopra le righe di una gang che sogna di fare il colpo massimo, il colpo che permetterà loro di andarsene dai bassifondi della periferia romana. Tutto cambia quando Enzo conosce Alessia (Ilenia Pastorelli) e la ragazza si convince che lui sia Hiroshi, il protagonista del famoso anime giapponese Jeeg Robot d'acciaio.


Lo chiamavano Jeeg Robot è il lungometraggio d'esordio di Gabriele Mainetti che, dopo i cortometraggi {a href=https://www.youtube.com/watch?v=NMs7lQt9DsA}Basette{/a} (2008) e {a href=https://vimeo.com/144552817}Tiger Boy{/a} (2012), affonda le mani nella sottocultura degli anime giapponese degli anni '80: veri e propri cult, entrati prepotentemente nell'immaginario collettivo. Presentato alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma, Lo chiamavano Jeeg Robot è un film da cui il cinema italiano può ripartire: una pellicola che aspira alla libertà, che non si abbassa a nessuna censura, che non ha paura di mostrarsi nella sua totale assenza di attualità cinematografica. Gabriele Mainetti si relaziona al pubblico mettendo in bella mostra il suo background - fatto di fumetti, cartoni animati, cinema di genere - e lo fa costruendo un impianto scenico pulp e colorato, sopra le righe, dove non manca né l'ironia né la violenza oscura caratteristica di tutti i villain che si rispettino. Perché Lo chiamavano Jeeg Robot è un vero e proprio film di supereroi. Una ventata d'aria fresca che passa per il quartiere periferico di Tor Bella Monaca, per gli angoli di una Roma che non viene quasi mai mostrata sul grande schermo. Gabriele Mainetti, per il suo debutto, ha scelto una storia esagerata e quasi iperbolica, in cui l'attenzione dello spettatore resta alta.


Opera coraggiosa e innovativa, Lo chiamavano Jeeg Robot può contare anche – e soprattutto! - su un cast eccellente in grado di intrattenere e divertire sulle note di una colonna sonora al limite del geniale. Una menzione d'onore va data a Luca Marinelli, sempre più convincente in una carriera che ne ha messo subito in mostra il talento istrionico. Lo Zingaro è un personaggio cartoonistico, irreale ed estremamente egocentrico. Un uomo che sottolinea gli immensi occhi spiratati con carezze di eyeliner nero, che si veste di lustrini e che segue il sogno tutto italiano di apparire in televisione. Un villain che canta e spara, che fa i capricci per un iphone bianco e che sogna di entrare al Grande Fratello. Lo Zingaro, a ben guardare, è anche il personaggio attraverso cui passa lo sguardo di Gabriele Mainetti, il suo pensiero sulla società odierna: una (non tanto) velata critica ai social network, alla tecnologia usata come mezzo di identificazione personale. Un plauso anche a Ilenia Pastorelli, uscita proprio dal Grande Fratello, che scivola con fare disarmante nei panni di Alessia, catalizzando su di sé le simpatie del pubblico. Tra questi due personaggi, il cattivo e la fanciulla in pericolo, Claudio Santamaria - con una massa muscolare aumentata a dismisura - si muove smarrito, tra l'uomo che vuole solo vivere in pace e il supereroe che non vede l'ora di emergere. Un film sui supereroi pieno di citazioni e di anima, che rapisce e che diverte.


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