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Dio esiste e vive a Bruxelles

22/12/2015 11:00

Francesca Solazzo

Recensione Film,

Dio esiste e vive a Bruxelles

La nuova commedia nera di Jaco Van Dormael

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Un padre di famiglia irascibile e ubriacone, una madre amorevole e dimessa, un figlio maggiore scappato di casa in cerca di fortuna e la piccola figlioletta ribelle in continua collisione con il genitore. Se si aggiunge lo sfondo fumoso e metropolitano di Bruxelles, con le sue diverse sfaccettature sociali (barboni, casalinghe, impiegati, ricconi attempati), ecco la perfetta combinazione della nuova commedia nera di Jaco Van Dormael. Belga, reduce da numerosi premi internazionali con i precedenti lavori (tra cui i più conosciuti sono Toto le héros del 1991, vincitore a Cannes come migliore opera prima e Mr. Nobody, presentato alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2009), con Le Tout Nouveau Testament (titolo originale di Dio esiste e vive a Bruxelles) il regista si affida stavolta al sublime e sornione volto di Benoit Poelvoorde, attore amatissimo in Francia e Belgio.


Il quadretto familiare disastrato dipinge la quotidianità di un normale nucleo familiare di ceto medio-basso, se non fosse per la particolarità del lavoro del capo famiglia: dirigere le sorti dell’umanità, come un dio. O meglio, come Dio. Un sadico burattinaio che chiuso nella sua stanzetta piena zeppa di archivi (contenenti vita, morte e miracoli di ogni creatura vivente) passa le sue giornate davanti a un vecchio computer, fumando e bevendo e scrivendo le sue personalissime Leggi della Sfiga, comunemente conosciute ai più come Leggi di Murphy. Tra un deragliamento e un terremoto, si diverte nel rendere la vita impossibile alle sue donne di casa, l’amorevole Yolande Moreau che impersona la madre dagli occhi bassi e malinconici, e la piccola meravigliosa Pili Groyne che veste i panni dell'indisciplinata undicenne in piena fase di ribellione pre-adolescenziale. Sotto suggerimento del fratellone JC, Ea scende sulla Terra per cercare i suoi sei apostoli e scrivere così un "Nuovo Nuovo Testamento" che la incoroni prossima Messia. Tutto ciò dopo aver rubato le chiavi dello stanzino del padre e aver mandato a tutti gli uomini la data di morte via sms, o meglio, il countdown del tempo rimasto per ridare loro la completa padronanza delle azioni.


Il regista, ateo dichiarato, ha più volte difeso la sua scelta di utilizzare una tematica sacra per suscitare sorriso e riflessione, mai come mezzo di propaganda politica e di blasfemia. Tutti i (pochi) film di Van Dormael sono riconoscibili da una pittoresca tecnica di rappresentazione della realtà, surreale alla Fellini, fiabesca alla Méliès, metafisica alla Tarkovskij, nonché vicina alla tecnica del conterraneo pittore René Magritte. Le Tout Nouveau Testament si presenta come una versione meno snob de Il favoloso mondo di Amélie di Jean-Pierre Jeunet, arricchita dall’umorismo da fratelli Coen e una sceneggiatura in stile Charlie Kaufman: un incrocio di stili e piani narrativi che sceglie il punto di vista infantile, l’uso distintivo della voce fuori campo e lo sguardo fisso in macchina dei protagonisti che sembrano dialogare direttamente con lo spettatore. Candidato al Golden Globe 2016 come Miglior Film straniero, questa stramba commedia surreale in otto atti (Genesi, Esodo e i sei Vangeli nuovi-nuovi) porta la firma in sceneggiatura di Thomas Gunzig, anche lui di origine fiamminga, autore di romanzi e racconti caratterizzati da humor nero e corrosivo, amalgamato all’assurdo e al surreale, dove le situazioni toccanti sono abilmente affiancate a gag dalla facile risata.


L’ironia non manca nel film, e la selezione da parte di Ea di uno scriba barbone alla ricerca dei nuovi apostoli, pescati a caso dal mazzo del padre, non è da meno: la scelta sfortunata ricade su una ragazza bellissima senza un braccio, un maniaco sessuale, un assassino, un impiegato, un bambino transessuale, una donna di mezza età abbandonata dal marito (favolosa Catherine Deneuve che s’invaghisce di uno scimpanzé e se lo porta a casa, omaggio al Max, Mon Amour di Oshima). Le loro storie raccontate nelle cornici dei Nuovi Vangeli sono toccanti siparietti di normali emozioni umane, enfatizzati dalla lettura della musica del loro cuore che la piccola Ea di volta in volta assegnerà al protagonista, spaziando alla musica popolare di Charles Trenet, al quartetto schubertiano de La morte e la fanciulla, a Purcell e Händel, oltre alla tessitura musicale originale affidata alla cantautrice e pianista belga An Pierlé. Man mano che il compito di Ea sulla Terra viene assolto, la Dea Madre assiste sgomenta alla reinvenzione del Cenacolo impreziosito dai neo discepoli, nel trilocale del regno dei cieli, dove ha finalmente riacquistato il sorriso e tiene in ordine la casa canticchiando, aggiustando il destino degli uomini dal pc del consorte rimasto incustodito, infondendo una carica di leggerezza, speranza e ottimismo che Van Dormael regala in ogni suo gioiello di film.


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