Quando, nel 1992, Federico Moccia, autore televisivo di discreto successo (nonché figlio d'arte: suo padre Giuseppe è il Pipolo che tanto ha dato alla commedia italiana) diede alle stampe la prima versione di Tre metri sopra il cielo, non poteva certo immaginare che quello stesso libro sarebbe letteralmente esploso, come fenomeno di massa, ben dodici anni più tardi, quando Feltrinelli decise di pubblicarne una versione rimaneggiata e aggiornata, che in breve diventa un best seller conosciuto anche all'estero. In quattro e quattr'otto, il romanzo diventa un film, che fra gli altri porta il giovane attore Riccardo Scamarcio alla ribalta. Da lì in poi è stato tutto un percorso in discesa per l'autore romano: sia per il continuo successo di pubblico riscontrato, che a livello artistico-letterario, con tutta una serie di libri confezionati quasi in catena di montaggio, cercando di inseguire i gusti del suo pubblico - perlopiù adolescente - riuscendo, nell'intento, a perderli effettivamente di vista sotto una marea di luoghi comuni e gerghi giovanili. Nel 2007 è la volta di Scusa ma ti chiamo amore, primo di una saga che è, a tutt'oggi, la più prolifica dell'autore, e che è stato prontamente trasposto in un film con Raoul Bova e la giovane Michela Quattrociocche come protagonisti. Niki (Michela Quattrociocche) e Alex (Raoul Bova) pur abitando entrambi a Roma, vivono in due mondi completamente diversi: mentre la prima è una spensierata e volitiva ragazza all'ultimo anno di liceo dedita alle uscite con le amiche, Alex è un tranquillo trentasettenne dal cuore d'oro e dall'inventiva fertile, che lavora come pubblicitario per una grande agenzia romana. Un incontro fortuito li farà incontrare e innamorare: ma come è vissuto, e che prospettive ha, un rapporto di coppia serio tra due persone di età ed esperienze così diverse? Scusa ma ti chiamo amore ha segnato, tra le altre cose, il ritorno alla regia di Moccia dopo più di dieci anni dal suo ultimo - e poco riuscito - esperimento in materia, Classe mista 3A. Mentre per i precedenti due film tratti dai suoi romanzi ha infatti collaborato solo in veste di sceneggiatore, per la storia di Niki e Alex l'autore “più amato dai giovani italiani” decide di compiere un passo avanti e dirigere personalmente un Bova mai così gigionesco e una giovane “promessa” come la Quattrociocche, che a tutt'oggi ha dimostrato bellezza e volontà ma purtroppo non molto mestiere. Il film, nonostante sia stato premiato ai botteghini, è stato massacrato dalla critica, non senza ragione. Le interpretazioni di alcuni dei suoi protagonisti, sarà per l'inesperienza dei più giovani, sarà per la poca fede nel progetto da parte dei più navigati, sono a tratti imbarazzanti, o semplicemente sprecate; e la regia di Moccia perde la direzione più di una volta, in una sequela di scene e inquadrature molto eterogenee che vengono ulteriormente penalizzate da un montaggio approssimativo e da soluzioni stilistiche quantomeno fastidiose, come l'invadente voce fuori campo (affidata a Luca Ward) che recita frasi da cioccolatino a sproposito ogni due per tre. Ma quello che rappresenta il vero punto debole della pellicola sono la sceneggiatura, i dialoghi e i personaggi, ovvero il fulcro di un film del genere. La storia d'amore tra i due è infatti sottotono e irrealistica, trascinata dai capricci di una ragazzina che, al di là dell'avvenenza fisica, avrebbe ben poco con cui attrarre un serio quarantenne. Personaggio, quello di Niki che, fra parentesi, altro non è se non un mix delle due precedenti protagoniste mocciane, Babi e Gin (ci chiediamo se mai Moccia smetterà di affibbiare tali soprannomi alle sue “eroine”). Per allungare il brodo e dare una parvenza di intreccio, Moccia non ha fatto altro che inserire nel plot principale una serie di blande sottotrame, che vedono come protagonisti tre amici di Alex e tre compagne di scuola di Niki, immergendoli anch'essi in un calderone di luoghi comuni, malcostumi tipicamente italiani e dialoghi scritti con una dose quasi inquietante di qualunquismo. Il film, inoltre, risulta a tratti fastidioso per la sua retorica di fondo, i suoi personaggi finto-ribelli (ma sempre irrimediabilmente facenti parte della borghesia capitolina) e certe scene al limite fra il riciclo e il diseducativo (ci chiediamo che senso abbia la scena dell'autoscontro illegale, giusto per fare un esempio). Per tutti questi motivi, e molti altri su cui non crediamo sia il caso dilungarsi, Scusa ma ti chiamo amore entra di diritto nell'"Olimpo" dei peggiori film italiani degli ultimi anni.