Seok-wu è un uomo che pensa soltanto al lavoro (è il manager di un'importante azienda) ignorando le richiesta d'affetto della figlia piccola, spesso lasciata da sola con la nonna paterna. Su supplica della bambina, Soek-wu accetta di accompagnarla dalla madre, da cui è separato, per il giorno del suo compleanno. Sul treno che li sta portando a Busan, città dove abita la donna, sale una ragazza con delle profonde ferite nel corpo che, poco dopo, è preda di convulsioni e aggredisce fisicamente un hostess del personale di bordo: è solo l'inizio di un vero e proprio inferno, dato che il contagio si diffonde sull'intero treno, trasformando la maggior parte dei passeggeri in sorta di famelici zombie rabbiosi. Nel frattempo l'intero Paese è vittima di quest'inspiegabile epidemia, costringendo Seok-wu e gli altri non infetti a una vera e propria lotta per la sopravvivenza nel tentativo di raggiungere Busan, unico luogo ad aver apparentemente contenuto l'emergenza. Ogni tot anni vi sono titoli che segnano nuovi metri di paragone per i rispettivi generi d'appartenenza: Train to Busan appartiene sicuramente a questa ristretta categoria, andando a ergersi come ultima pietra miliare dello zombie-movie. Celebrato in patria con incassi record e già in procinto di essere rifatto a Hollywood, il film di Sang-ho Yeon (al suo esordio nel cinema di finzione, dopo aver girato apprezzati film d'animazione includenti anche un prequel di questo) è l'esempio perfetto di come realizzare un blockbuster spettacolare, capace di guardare ad un pubblico trasversale pur mantenendo nettamente salde le sue coordinate horror. Una sorta di operazione a là World War Z (2013) qui però in scala ridotta (limitata alla penisola coreana) pregna di un'anima prettamente orientale nella gestione dei rapporti umani, vero e proprio fulcro vitale di una vicenda in cui la narrazione, pur rispettando alcuni topoi classici, gioca un ruolo fondamentale ai fini della visione, regalando passaggi di grande intensità emotiva che coinvolgono il pubblico nel destino dei numerosi personaggi protagonisti. Il regista, complice una sceneggiatura chirurgica e più profonda della media, riesce a farci soffrire per il destino dei sopravvissuti, tutti caratterizzati con piccoli ma istintivi tocchi in grado di donare personalità anche alla figure più secondarie tanto che, con il dipanarsi degli eventi, non mancheranno momenti di commozione per il destino avverso toccato ad alcune di queste. Gli zombie, al centro di alcune scene di massa dal grande impatto visivo (notevole a tal riguardo il copioso numero di comparse), sono della generazione post boyliana, quindi veloci e furiosi, e hanno degli elementi distintivi che li distinguono parzialmente dalla classica iconografia, a cominciare da movenze scattose che ricordano vagamente quelle degli spettri inquieti dei j-horror fino ad arrivare all'incapacità di vedere al buio, deficienza che permetterà ai Nostri di utilizzare diversi espedienti per non farsi notare. Sì perché per la quasi totalità delle due ore di durata la vicenda ha luogo sul treno del titolo e i sopravvissuti dovranno spostarsi di vagone in vagone sulla scia di Snowpiercer (2013) per raggiungere un posto sicuro o riabbracciare i propri cari, trovandosi ad affrontare carrozze piene di "morti viventi": giustificabile in questo senso, anche se poco verosimile, il breve sussulto action oriented che ha luogo nella parte centrale, comunque in grado di avvincere grazie ad una tensione sempre costante e a una messa in scena piacevolmente dinamica. E con tanto di messaggio romeriano che traspare in uno dei passaggi clou, dove l'umanità mostrerà i suoi lati più biechi e crudeli pur di mantenere a tutti i costi la personale sicurezza di molti a discapito di pochi. Train to Busan si rivela opera enorme per il filone, illuminante e avvolgente apoteosi che conquista cuore e sguardo tramite un raro equilibrio tra incisiva sostanza e impeccabile apparenza.