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Cold War

07/01/2019 12:00

Maurizio Encari

Recensione Film,

Cold War

Cold War, il nuovo capolavoro di Paweł Pawlikowski

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Selezionato nella shortlist dei titoli in lingua straniera che concorreranno alla prossima edizione degli Oscar, Cold War è un'opera maestosa nel suo dolce minimalismo, ennesima grande intuizione del regista polacco Paweł Pawlikowski, il quale continua il proprio personale percorso di scavo nel passato del proprio Paese dopo il già magistrale Ida (2013), vincitore della sopracitata statuetta solo quattro anni fa. Film dal quale riprende anche lo stile visivo, con il formato 4:3 e il bianco e nero, a rendere ancor più affascinante questo melodramma d'autore. Un film votato alla sottrazione, piuttosto che sull'accumulo, di situazioni tragiche: scelta inusuale che dona ulteriore fascino agli ottanta, calibratissimi, minuti di visione. Visione che prende parzialmente spunto dalla vita dei genitori del cineasta e racconta la storia d'amore tra Wiktor, un apprezzato compositore musicale, e la più giovane e bionda cantante Zuzanna, scovata dall'uomo in un piccolo paesino mentre stava tenendo audizioni imposte dal regime per rilanciare le arti nazionali.


Durante tutto lo scorrere della narrazione i due amanti si rincorrono e si separano, in un eterno girotondo nel quale le differenze sociali (alto borghese lui, di provenienza contadina lei), di età e di idee politiche si pongono quali ostacoli sempre più ostici e pericolosi, con il regime comunista che tenta di metter ulteriori bastioni tra le ruote all'aspirata coronazione di una love-story sempre prossima a divenire così come a finire bruscamente.


Paweł Pawlikowski ferma il tempo e l'immagine, con fotogrammi fissi che rimangono negli occhi e nel cuore, filtrati dalla splendida fotografia senza colore, con le luci e le ombre che acquisiscono ruolo fondamentale nella definizione delle scene e dei relativi sussulti emotivi. Sempre e comunque negati al piacere voyeuristico del pubblico in favore di un asse empatico più raziocinante, ma non per questo meno appassionante, che di facile appiglio. Cold War può definirsi sorta di musical dell'anima, visto che le parti strumentali e cantate sorreggono ogni bivio chiave della vicenda in sequenze sonore di struggente e poetica bellezza, costantemente illuminate dalla voce e dallo sguardo senza età della protagonista femminile Joanna Kulig. Il contesto storico viene vissuto proprio attraverso l'utilizzo delle note, con i canti tipici del folklore polacco a cui si sostituisce il rock and roll delle discoteche parigine, in una sorta di passaggio di consegne tra passato e presente che sono, sempre e comunque, destinati ad affrontarsi, come testimonia anche la splendida sequenza pre-finale. Il passare degli anni tralascia i rimpianti, catapultando da un periodo all'altro senza eccessi di sentimentalismo gratuito per collegare i tasselli chiave dell'amara love-story, dove tra gelosie e differenze di vedute Wiktor e Zuzanna si troveranno a vivere un'infinita odissea relazionale che solo la forza indissolubile del loro legame riesce a mantenere saldamente coesa. Lo spazio logistico e l'avanzare del calendario sono così al servizio del vibrante cuore narrativo e della messa in scena, ideali succubi di un meccanismo filmico oliato alla perfezione, che cita maestri come Antonioni e Truffaut in una rappresentazione capace di cogliere il massimo mostrando il minimo.


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