La formula moderna per un blockbuster è semplice: azione, un po’ di commedia, un pizzico di romanticismo e tonnellate di CGI in un'escalation di scene sempre più spettacolari. Ma, ammettiamolo, ormai è davvero difficile sorprendere lo spettatore sempre più esigente e assuefatto. Hanno provato a stupirci con il 3D, rimasto in voga per qualche anno, ma realmente valido solo per una manciata di film; poi è toccato all’IMAX, ai 48 fotogrammi al secondo della trilogia de Lo Hobbit e persino sporadici a revival della pellicola a 70 mm. Ma ormai nulla è davvero efficace. Ma c’è stato un tempo dove al cinema si è assistito a una vera e propria rivoluzione grazie all’introduzione del digitale. Sul finire degli anni ’80 piccole e timide sequenze, come il morphing finale di Willow e il tentacolo d’acqua di The Abyss; poi negli anni ’90 il T-1000, i dinosauri di Jurassic Park e le deformazioni corporee de La morte ti fa bella hanno dimostrato che con il computer era possibile dar vita realmente a qualsiasi cosa. Una nuova frontiera dalle potenzialità pressoché infinite! A pensarci oggi forse può apparire un po’ sciocco, melenso, nostalgico. E di sicuro fa sentire incredibilmente vecchia la generazione che ha vissuto in prima persona questa rivoluzione stilistica (perché di questo si tratta dato che il digitale ha letteralmente rivoluzionato il concetto di cinema), osservandola con gli occhi incantati di adolescente. Sul finire del secolo scorso la CGI si è affermata con sempre maggior prepotenza nei blockbuster, sino a raggiungere la propria summa in Matrix, che univa spettacolarità visiva a esigenze narrative. Il punto zero di una nuova era; l’esponente più nobile al cui fianco però vi erano anche prodotti di puro intrattenimento, prototipi delle cosiddette orge digitali e rappresentati egregiamente nel 1999 da La Mummia di Stephen Sommers. Il film si proponeva come versione aggiornata del classico della Universal del 1932, mantenendone intatta l’ambientazione egiziana degli anni ’20, ma rendendolo un film d’avventura più che un horror classico. Rivisto oggi, a quasi vent’anni di distanza, il film conserva un’ottima resa: la mummia appena uscita dal sarcofago, con il cranio mezzo aperto e i muscoli putrefatti in bella mostra, riesce a colpire ancora oggi con un impatto visivo di gran lunga superiore a certa CGI targata Asylum. Dal punto di vista narrativo il film è scorrevole, con personaggi che, per quanto stereotipati, riescono a suscitare la simpatia (o l’antipatia nel caso dell’odioso Beni) dello spettatore. Su tutti gigioneggia un Brendan Fraser nelle vesti di un neo-Indiana Jones che riesce a essere molto più convincente come erede del famoso archeologo del futuro Shia LaBeouf. Ma al di là degli echi spielberghiani che il film si porta dietro, è interessante osservare come La Mummia faccia da apripista a un certo tipo di cinema d’intrattenimento moderno, quello che sposa avventura e fantasy: dalla riesumazione di un genere cinematografico oramai morto (cosa che avverrà anche con Pirati dei Caraibi - La maledizione della prima luna) coniugata a una vena quasi horror e amalgamato con l’humor, quello genuino e spontaneo screziato da alcune vene di politically-scorrect. Insomma, un prodotto innocuo ma divertente, bistrattato a suo tempo da una critica forse troppo bacchettona ma che a 18 anni di distanza appare come un vero spartiacque del cinema moderno, molto più di altri film ben più pretenziosi.