Poteva andare peggio. Molto peggio, visto il risultato deludente ottenuto con Suburra - La Serie, primo show Netflix made in Italy. Poteva andare peggio e invece Rimetti a noi i nostri debiti, distribuito da maggio 2018 in esclusiva sulla piattaforma streaming, costituisce una piacevole sorpresa. Non è ancora il caso di gridare al miracolo - i difetti ci sono e contribuiscono non poco alla resa altalenante del film - eppure Antonio Morabito dirige un’opera (passata un po’ sottotono, va ammesso) che fa tornare la voglia di avere più cinema italiano, anche su Netflix. Guido (Claudio Santamaria) vive nella periferia di Roma: si destreggia tra lavori precari e la sua unica compagnia è un vicino di casa, l’eccentrico Professore. Dopo l’ennesimo licenziamento, ormai sotterrato dai debiti, Guido subisce un’aggressione da parte dei suoi creditori. Da qui l’idea: chiede all’agenzia di riscossione crediti che lo perseguita di lavorare per loro, con il solo scopo di saldare il suo debito. Dal capo gli viene allora affiancato Franco (Marco Giallini), “il migliore sul campo”, che insegna a Guido tutti i trucchi del mestiere. Ciò che non gli insegna, però, è quanto possano fare male i debiti. Respiriamo a pieni polmoni e diciamo tutti insieme: finalmente una produzione italiana che non parla di mafia. E non per questo Rimetti a noi i nostri debiti risulta meno attuale: attraverso il tema sociale e universale del debito viene raccontata l’Italia dei precari, degli anziani soli, degli imprenditori strozzati. Il viaggio di Guido nell’abiezione - da “innocente” debitore a creditore colpevole - racconta il sommerso, il confine sottile tra legale e illecito. Uno dei più controversi passaggi del Padre Nostro offre il titolo al film e più di uno snodo interessante alla narrazione: il debito come condizione universale, che accomuna tutti, nonostante la vergogna e l’umiliazione, e l’onere del creditore. Claudio Santamaria e Marco Giallini sono due ottimi interpreti: il primo, sebbene cristallizzato in un ruolo post-Jeeg Robot, si fa guidare dal carisma in scena di Giallini. Dialoghi migliori, è certo, avrebbero aiutato. La sceneggiatura non funziona del tutto. L'impressione è di assistere a un’accelerazione brusca verso il finale, con la narrazione visibilmente sbilanciata: la fase della formazione di Guido, benchè sia la migliore del film, dura troppo rispetto alla sua ascesa professionale; il punto di non-ritorno del personaggio arriva troppo tardi. Non viene lasciato allo spettatore abbastanza tempo per metabolizzare gli eventi. Guido e Franco diventano amici troppo presto, litigano troppo presto. E il film finisce troppo presto… o troppo tardi? Malino anche i personaggi secondari, dal nucleo familiare di Franco (buttato lì, ma mai raccontato davvero) al Professore (inspiegabile, visto l’importanza nella trama) e Rina, unico personaggio femminile di rilievo del film, protagonista solo di una perdibile sottotrama romantica. Molto meglio va la regia, con idee brillanti che si rivelano spesso più narrative dei dialoghi, e la bella fotografia di Duccio Cimatti.