Ci vuole coraggio a girare un intero film parlato in una lingua morta. Ci vuole coraggio se hai un nome altisonante e consolidato come Mel Gibson, figuriamoci se sei un misconosciuto che si chiama Matteo Rovere. Uno il cui nome, noto solo a pochi, ha baluginato in veste di produttore nei titoli di coda della (bellissima!) trilogia di Smetto quando voglio e si è fatto strada da regista con il sottovalutato Veloce come il vento. Ci vuole un coraggio gigantesco a scrivere, dirigere e produrre un film parlato (poco) in protolatino, girandolo interamente in esterni (tra i boschi e le oasi naturali di Lazio e Umbria) e basarlo tutto sul precario equilibrio tra misticismo, leggenda e storia antica. E ci vuole anche una buona dose di incoscienza a fare tutto ciò in Italia, dove un film del genere (e soprattutto "di genere") difficilmente può incontrare il gusto del pubblico generalista. E infatti Il primo re ha incassato poco più di 2 milioni di euro a fronte di un budget di 8. Eppure Matteo Rovere l’ha fatto e il risultato è un film che, nonostante tutti i suoi limiti e imperfezioni, appare monumentale. Alla base de Il primo re c’è uno dei miti più popolari del nostro paese, ovvero la storia di Romolo e Remo, la storia della fondazione di Roma. Matteo Rovere e il suo team di sceneggiatori (Filippo Gravino e Francesca Manieri, che hanno lavorato a Gomorra – La serie, Una vita tranquilla, Perez, i tre Smetto quando voglio e Veloce come il vento) non ci raccontano il lato più folkloristico della vicenda - di come Rea Silvia sia stata stuprata dal dio Marte, sepolta viva e poi resuscitata - né dei suoi gemelli ritrovati in una cesta naufragata lungo il Tevere e allevati da una lupa. Anche se è proprio dalle acque del fiume romano che inizia la storia de Il primo re. Romolo e Remo sono due fratelli pastori: dopo una violenta esondazione del Tevere, vengono catturati e ridotti in schiavitù per combattere con gli altri prigionieri in duelli mortali e propiziatori per gli dei. I due fratelli riescono, però, a liberarsi e a liberare altri prigionieri: Romolo rimane gravemente ferito e Remo convincerà con gli altri a portarlo insieme a loro anziché abbandonarlo perché di peso al gruppo. Il colpo di genio di Matteo Rovere, e il fulcro della vicenda, è proprio qui: sappiamo tutti come andrà a finire, con Romolo che uccide Remo (non è uno spoiler, è storia!) e fonda la città di Roma, eppure per tutta la sua durata, Il primo re è il racconto di due fratelli che cercano di tenersi in vita a vicenda, sino all’inevitabile epilogo. Dal punto di vista tecnico il film non ha nulla da invidiare a prodotti simili provenienti da Oltreoceano. Bastano una manciata di minuti, la sola scena dell’esondazione, per prendere coscienza di questo. Matteo Rovere sa quello che fa, nella sua testa le idee sono chiarissime, e tutti i comparti hanno cieca fiducia il lui: gli attori (Alessandro Borghi su tutti, come se servisse un ulteriore prova della sua bravura); la fotografia, che ci regala momenti di puro godimento, arrivando a rievocare le tavole di Frank Miller; il montaggio, di una lucidità incredibile, tanto e forse anche di più di quello di Veloce come il vento. La prima ora è una corsa che stordisce lo spettatore, tra scene d’azione, combattimenti a mani nude e violenza, appannando il tutto dietro un’aurea di inquietante misticismo necessaria per entrare in contatto con questi personaggi primordiali. Il secondo atto è più debole: il film cede nel ritmo, arrancando un po’ tra boschi, intemperie, fuoco e vaneggiamenti... è il volere degli dei o dei demoni? Oppure il destino ce lo creiamo noi con le nostre scelte? E se sono davvero padrone di me stesso, allora forse dio sono io? Un delirio d’onnipotenza che si gonfia sino a esplodere nel crudissimo epilogo, regalandoci alcune scene che mai saremmo stati capaci d’immaginare in un film prodotto nel nostro paese. E mentre i titoli di coda iniziano a scorrere, quel delirio d’onnipotenza invade anche noi. Nella testa fanno capolino tutti i peplum e i film ambientati nel mondo classico: da Ben Hur a Il Gladiatore, passando per le derive tamarrissime del 300 di Zack Snyder. E allora, carichi di arcaico orgoglio patriottico, come il tono del film impone, viene da pensare che Il primo re è un film nostro... in tutti i sensi.