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Country for Old Men

26/09/2018 10:00

Emanuela Di Matteo

Recensione Film,

Country for Old Men

Il fenomeno dell’emigrazione in Terza Età, alla ricerca di uno stile di vita migliore e più dignitoso all’estero

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Sono italiani i registi del documentario Country for Old Men, che racconta in modo indiretto quel che sta accadendo oggi negli Stati Uniti alle persone anziane di ceto medio, ai pensionati americani che rischiano di vivere di stenti, o di vivere male, nel proprio paese. «Com’è possibile che non si riesca a fare la spesa perché bisogna comprare le medicine?» afferma uno degli intervistati. Il fenomeno dell’emigrazione in Terza Età, alla ricerca di uno stile di vita migliore e più dignitoso all’estero, è diffuso persino in Italia. Ma Stefano Cravero, montatore professionista alla sua prima regia, e Pietro Jona, autore anche di soggetto e sceneggiatura, focalizzano la loro analisi su una realtà specifica e quanto mai surreale: quella dei pensionati americani che vanno a vivere nella verde e tranquilla cittadina di Cotacachi, sulle Ande dell'Ecuador.


Le motivazioni di questa scelta sono valide e comprensibili: poter godere della propria pensione con prelievi fiscali ridotti, permettersi uno stile di vita più elevato di quello che si avrebbe nel proprio paese, trascorrere gli ultimi anni della propria vita in pace e tranquillità, abbandonando il clima violento degli Stati Uniti, dove omicidi e abuso di armi da fuoco fanno sempre più paura. E ritrovare infine, a Cotacachi, l’atmosfera dimenticata dell’America degli anni '50. Ma gli anziani gringos che si trasferiscono a Cotacachi nonostante si sforzino di imparare lo spagnolo e fare la spesa al mercato tirando sul prezzo delle verdure, non sono e non saranno mai veramente integrati. Quello che i registi ci raccontano non è un viaggio in diverso way of life e non è nemmeno una vera e propria emigrazione: si tratta dello spostamento di una fascia di età verso un altro pianeta, un mondo creato a propria immagine somiglianza, una cartolina, una bolla protetta, nella quale c’è spazio al massimo soltanto per in proprio cane.


Attraverso la delicata magia di inquadrature silenziose, Cravero e Jona riescono a trasformare un documentario in un racconto di fantascienza velato di malinconica lentezza, di inesorabili e quotidiani rituali (le visite mediche, il veterinario, la spesa) vissuti a Cotacachi: un luogo di trapasso dal mondo dei vivi al limbo ovattato di coloro che aspettano la morte, e che vogliono farlo nel modo più tranquillo e piacevole possibile. Magari con un bel patio verde e una piccola piscina. Di notte le saracinesche si abbassano, i cancelli si chiudono, i sistemi di allarme scattano e, da lontano, per le strade, si intravedono passanti andini, bambine e madri nei loro tipici abiti come figuranti di cartoline, pittoresche figure di quel mondo irreale che è diventato Cotacachi, per i vecchi americani. Pensionati stanchi ma desiderosi ancora di preservare, di ricordare e di mandare qualche saluto via skype ai nipotini lontani, che con ogni probabilità non rivedranno mai più.


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