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I morti non muoiono

24/06/2019 11:00

Marcello Perucca

Recensione Film,

I morti non muoiono

Jim Jarmusch si cimenta con un grande classico: lo zombie movie

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Centreville, 738 abitanti, proprio un bel posto: è scritto sul cartello di benvenuto all’ingresso di questa cittadina immaginaria collocata nel cuore profondo degli States, dove Jim Jarmusch ha ambientato il suo ultimo lavoro I morti non muoiono, presentato come film d’apertura alla 72ª edizione del Festival del Cinema di Cannes. Da sempre esploratore di generi cinematografici – dal western ai film di samurai, dai vampiri alla commedia romantica e ai film d’azione – il regista dell’Ohio si cimenta ora con un altro grande classico: lo zombie movie. E lo fa partendo, e citandolo a più riprese, da George Romero, grande e imprescindibile regista del genere, che ha contribuito in primis a elevarlo e ad attribuirgli precisi e profondi significati socio-politici.


Nella cittadina di Centreville la vita scorre apparentemente tranquilla. Qualcosa, però, non va come dovrebbe. La luna splende grande e inquietante nel cielo, le ore di luce e di buio non si susseguono più secondo la normale alternanza e gli animali iniziano a mostrare comportamenti insoliti. Le notizie che provengono dalla televisione sono preoccupanti: per cercare il petrolio l’uomo ha trivellato il Polo Nord, causando quello che nel film viene descritto come "fracking polare” e determinando uno spostamento dell’asse terrestre, con conseguenze disastrose per il pianeta. Ma un altro e più immediato problema si sta per abbattere su Centreville: i cadaveri stanno per uscire dalle tombe. Un'apocalisse zombie si sta per riversare sugli abitanti, che diventano ben presto vittime dei non morti. Gli zombie, impossessandosi di Centreville, si aggirano per le strade nutrendosi dei corpi delle loro vittime che, a loro volta, vengono trasformati in morti viventi. A tentare di fronteggiare l’invasione tre poliziotti, due uomini e una donna, che affrontano con atteggiamenti diversi la catastrofe, ma tutti e tre incapaci realmente di opporsi al nemico decretando, di fatto, l’impossibilità delle istituzioni a svolgere un ruolo attivo ed efficace di difesa.


Film di critica sociale, I morti non muoiono utilizza la metafora dei morti viventi per stigmatizzare i mali della nostra società consumistica e la nostra ormai cronica e irreversibile incapacità a distaccarci dalle cose materiali. Tutti gli zombie infatti si aggirano per le strade citando ossessivamente gli oggetti ai quali erano attaccati nella loro vita terrena (dal caffè agli antidepressivi, sino all’esilarante caso del cadavere dell’ubriacona che, risvegliandosi, inizia a reclamare lo Chardonnay con il quale si stordiva da viva). Per Jarmusch è venuta meno ormai la capacità dell’uomo di vivere in maniera più spirituale. Il materialismo sta conquistando e distruggendo il nostro mondo e a resistere, ormai, restano pochi casi isolati. Come, ad esempio, Eremita Bob (Tom Waits), un vecchio che ha deciso di abbandonare tutto e vivere libero nei boschi vicino alla cittadina. Ma nel film c’è anche una critica severa verso la scriteriata politica ambientale adottata dal governo degli Stati Uniti. Secondo Jarmusch, continuando così ci si avvia verso un disastro irreparabile, di cui tutti pagheremo le conseguenze.


In questo suo ultimo lavoro il regista inserisce molti degli elementi rilevabili nei suoi film precedenti quali, ad esempio, le arti marziali di Ghost Dog. Ne I morti non muoiono a dilettarsi con le spade da samurai è Zelda Wiston, una stramba impresaria di pompe funebri interpretata da una inquietante Tilda Swinton, giunta da poco in paese e della quale nessuno sa molto se non che sia scozzese e, proprio per questo, strana. Per l’occasione Jim Jarmusch ha riunito un grande cast, richiamando molti degli attori che hanno percorso con lui parti della sua carriera: oltre ai già citati Waits e Swinton, Iggy Pop nella parte del primo zombie che fuoriesce dalle tombe, Steve Buscemi in quella di un farmer profondamente razzista, Bill Murray e Adam Driver nelle vesti dei due agenti della stazione di polizia insieme a Chloë Sevigny, la poliziotta.


E mentre gli zombie dilagano irrefrenabili, un tema musicale diventa centrale e ricorrente per l’intera pellicola: si tratta del brano dal significativo titolo The Dead Don’t Die del cantante country Sturgill Simpson, che compare anche nel cameo dello zombie che trascina uno strumento musicale pronunciando ripetutamente un'unica parola, "Chitarra". Applicando una buona dose di humor nero in un film che, a dire il vero, non gode di un andamento narrativo sempre lineare, Jarmusch utilizza il genere horror per porci di fronte alle nostre responsabilità e al fatto che, alla fine, tutti siamo degli zombie.


E come zombie fagocitiamo e distruggiamo qualunque cosa, senza lasciare spazio a nulla, tanto meno alle nuove generazioni che, nel film, sono rappresentate da due gruppi di giovani. Il primo, composto da due maschi e una femmina che si ritrovano, inconsapevoli, in mezzo al delirio di Centreville durante un viaggio spensierato. Il secondo, rappresentato da due ragazze e un ragazzo reclusi di un riformatorio che assistono attoniti e impotenti a ciò che la televisione mostra. Ed è forse questa la condanna principale di Jarmusch: consegnare ai giovani un mondo e una società ormai decisamente inospitali.


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