Dall’elitaria Maryland School of the Arts dei sobborghi di Baltimora al melting pot newyorkese. L’azione di Step up 3 si sposta nella grande mela e non si concentra più solo sulla coppia di turno ma assume una dimensione collettiva focalizzandosi su un gruppo di street dancer, e inoltre il terzo episodio della franchise cinematografica di grande successo della Touchston Pictures e Summit Entertainment diventa 3D. Un’operazione commerciale non da poco se si pensa che si tratta del primo dance movie che fa delle sessioni di ballo tridimensionali uno spettacolo straordinario che da solo vale tutto il film. Dietro la macchina da presa Jon M. Chu, ex ballerino e coreografo che combina le sue due passioni sfruttando un’idea venutagli dalla frequentazione dell’LXD (League of Extraordinary Dancers), un gruppo di ballerini multietnico che pratica vari stili, creato dallo stesso regista per una dance-opera in tre volumi. Step up 3 cavalca dunque l’onda del successo dei precedenti capitoli, slegati l’uno dall’altro, riprendendone però alcuni personaggi fra cui Moose (Adam G. Sevani, apparso in Step up 2 – La strada per il successo), e Camille (Alyson Stoner già in Step up). Sono loro ad aprire e veicolare la storia che ha inizio quando, durante il loro primo giorno al college, i due ragazzi incontrano e si uniscono ad un affiatato gruppo di street dancer, i Pirati, guidati da Luke (Rick Malambri), che vivono tutti insieme in una sorta di circolo artistico al quale ben presto si aggiungerà anche l’enigmatica Natalie (Sharni Vinson). In questo luogo passano le giornate in allegria coltivando le loro passioni e affrontando insieme le difficoltà quotidiane, qui si allenano per vincere il World Jam e salvare la loro factory dallo sfratto. L’ultimo lavoro di M. Chu stupisce ed emoziona grazie all’utilizzo di un onnipresente effetto 3D magistrale, che raggiunge i massimi livelli durante le coreografie. Una percezione della profondità mai raggiunta prima con ballerini che schizzano letteralmente fuori dallo schermo e assalgono vertiginosamente gli spettatori. Ad esaltare il tutto una fotografia seducente e un sapiente uso delle luci che fanno di un semplice palco un Colosseo luminoso e dei ballerini led in movimento. A rovinare tutto, purtroppo, una sceneggiatura a dir poco imbarazzante che non solo condensa tutti i luoghi comuni possibili e immaginabili, ma non si sforza minimamente di aggiungere la pur minima variazione. È cosa nota il continuo riciclo che avviene in pellicole appartenenti al genere dance/sentimentale, ma nel caso di Step up 3 non si ricorre nemmeno all’uso dei sinonimi. Un vero peccato per un prodotto che ha tecnicamente ottime potenzialità , ma che rovina tutto per un'incuria di base.