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Another year

30/01/2011 12:00

Tania Marrazzo

Recensione Film,

Another year

Another year racconta un anno di vita di una famiglia e dei suoi amici attraverso l’alternarsi delle stagioni...

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Another year racconta un anno di vita di una famiglia e dei suoi amici attraverso l’alternarsi delle stagioni. Tom (Jim Broadbent), geologo, e Gerri (Ruth Sheen), psicologa, sono una coppia felice e profondamente innamorata che trascorre pacatamente l’esistenza coltivando di tanto in tanto il proprio orto. Attorno a loro il figlio trentenne Joe (Oliver Maltman) con la fidanzata Katie (Karina Fernandez), il fratello Ronnie (David Bradley) e gli amici di famiglia Mary (Lesley Manville) e Ken (Peter Wight), entrambi sofferenti di solitudine e insoddisfatti dalla vita. In più una serie di personaggi minori fra cui figli ribelli, donne incinte e altre che soffrono di un’insonnia tale da sentirsene completamente distrutte nel corpo e nell’anima.


Presentato all’ultimo festival di Cannes e candidato all’Oscar per la Miglior sceneggiatura originale, Another Year è il tredicesimo film di Mike Leigh, regista britannico dai toni tipicamente pacati e dall’accentuata sensibilità. Un’opera corale che si serve dei drammi e dei problemi dei vari personaggi della storia per rivolgersi invero all’umanità intera attraverso una strutturazione del tutto particolare. Il fulcro del discorso di Leight non sono infatti Tom e Gerri, i due protagonisti, anzi essi costituiscono una sorta di coppia atipica proprio per la loro incredibile perfezione mentre tutti coloro che li circondano, eccetto il figlio che si innamora di Katie, appaiono irrimediabilmente disperati. Una disperazione che a volte si ha il dubbio nasca proprio dalla frequentazione della coppia che assume le fattezze di modello irraggiungibile e che se da un lato diventa rifugio e luogo sicuro, dall’altro getta ancora più nello sconforto chi la pratica proprio perché rende evidente più che mai la propria condizione infelice. Mary, un divorzio alle spalle e una relazione andata male, cerca di convincersi in tutti i modi di essere una donna felice, indipendente e ancora sessualmente attraente, ma man mano che le sue deboli certezze si sgretolano si aggrappa sempre più a Gerri, forzando la desiderata intimità della sua famiglia, e alla bottiglia che le permette quel momentaneo e obliante stordimento. Stesso discorso per Ken che all’alcol preferisce il cibo e che si vede ripetutamente respinto da Mary, agognando un’unione che potrebbe congiungere le loro due solitudini, ma in questo senso la sceneggiatura di Leight è tutt’altro che scontata.


Quello che più sorprende è proprio la capacità del film di passare da un tono all’altro con una facilità estrema, alternando dialoghi e situazioni esilaranti a momenti di una tristezza spiazzante che producono a tratti un’angoscia quasi soffocante, che è poi il tono che realmente assume tutta la pellicola. Senza debolezze e buonismi, Another year presenta la vita così com’è, racconta dei drammi dell’esistenza contemporanea popolata da individui afflitti da un qualcosa che perfino loro stessi non sono in grado di riconoscere. È questo il significato della scena d’apertura che Leight ha riservato ad Imelda Staunton, una paziente di Gerri disperata e sofferente di insonnia, che la psicologa vorrebbe curare risalendo alle cause interne che l’hanno generata, ma lei non ne vuole sapere, non vuole aprirsi ed ammettere la sua condizione dinanzi a qualcun altro, vuole solo qualcosa per dormire. Ancora una volta il regista di Segreti e bugie e Il segreto di Vera Drake rivela la sua predilezione per le persone invisibili, gente del popolo che semplicemente vive ordinariamente e che, fortunatamente con qualche eccezione, si scontra ogni giorno con la realtà che spesso nasconde a se stessa, realizzando così un film senza una storia di fondo che si limita a registrare lo scorrere del tempo, il passaggio di un anno su un altro.


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