Terrorismo, paranoie e complottismo: in questo clima malsano James Wan e poi Darren Lynn Bouseman a inizio anni 2000 danno vita a un fenomeno culturale
Il genere horror è lo specchio dei nostri tempi, incarnazione e metafora delle nostre paure. Lo è sempre stato, nonostante nel corso dei secoli i linguaggi siano mutati, passando dai racconti della tradizione folkloristica ai grandi romanzi ottocenteschi, sino a trovare la propria incarnazione moderna nel cinema.
Di quanto l’horror sia duttile per poter fare denuncia sociale ne avevamo già parlato a proposito di Atroz, ma facendo un passo indietro, esaminando le produzioni da inizio millennio a oggi, è interessante (quanto sconvolgente) constatare come il genere abbia progressivamente abbandonato i suoi mostri classici – vampiri, licantropi, demoni – in favore di un sempre più esplicito e marcato tasso di violenza. Indice che nel nuovo millennio la cosa che più ci fa paura... siamo noi stessi!
Non c’è più il “popolo unito” che fa fronte all’invasore straniero (sia esso marziano o comunista, che poi era pressoché la stessa cosa per i b-movie degli anni ’50) o al mostro di turno. Negli anni ‘80 la brava gente di Springwood arrivò a bruciare il bidello della scuola elementare accusato di molestare i loro figli, insabbiando poi il tutto nel nome del bene della comunità.
Ma i tempi sono cambiati e l’avvento del nuovo millennio ha portato con sé l’11 settembre, l’ombra del terrorismo con tutte le sue paranoie e i suoi complottismi (il terrorista potrebbe essere chiunque, anche il tuo vicino di casa): i video di Al Quaeda, le torture inferte dai soldati ai prigionieri di Abu Grahib e Guantanamo. Tutto ciò ha avuto pesanti ripercussioni sulle masse, “donando” al mondo nuove paure da covare.
In questo clima malsano e iper-violento è sbocciata la prima vera saga horror degli anni 2000: quella di Saw.
Saw: nel 2004 inizia il gioco
Ad Halloween 2004 arriva al cinema Saw – L’enigmista, film dell’allora esordiente James Wan, basato sull’omonimo cortometraggio girato da lui stesso l’anno precedente. Un film compatto, a tratti furbo, che di base non è nemmeno un horror, bensì un thriller “a tinte forti” con delle scene particolarmente spinte e un colpo di scena finale a dir poco spiazzante.
Per assurdo Saw – L’enigmista ha molto più a che spartire con Seven di David Fincher che con uno qualsiasi dei propri sequel.
Le intenzioni stesse dei due killer, John Doe e Jigsaw, sono molto simili e affondano le proprie radici in argomentazioni religioso/esistenziali: da una parte i vizi capitali che condannano l’umanità a una vita di pena, dall’altra un malato terminale che mira a far apprezzare il dono della vita a chi sta sprecando la propria esistenza.
Realizzato con poco più di un milione di dollari, Saw ne incassò più di 55 solo in patria, diventando uno dei maggiori successi della stagione, nonostante la critica non lo avesse apprezzato particolarmente. La vera consacrazione avvenne grazie al sapiente colpo di scena finale, che, ancora una volta, molto deve a Seven.
A sorpresa di tutti – suoi creatori compresi – Saw si trasformò in un fenomeno al punto che, sebbene il finale girato da James Wan fosse abbastanza chiuso e autoconclusivo, le pressioni dei fan per mettere in cantiere un sequel si fecero asfissianti e la casa di produzione, ingolosita dai facili guadagni, le assecondò.
Il marchio di Bousman nella saga di Saw
James Wan si staccò dal progetto, rimanendo in veste di produttore, ma declinando sia la regia che la sceneggiatura del secondo capitolo. Alla guida del sequel subentrò Darren Lynn Bousman, regista pressoché esordiente (alle spalle aveva solo il mistery-drama Identity Lost) che capitò nel momento più opportuno, presentando allo studio una sceneggiatura scritta di suo pugno, The Desperate.
Si trattava di una storia molto violenta, con più di un punto in comune con il primo film della saga, perciò la Lionsgate colse l’occasione al volo e gli propose di rimaneggiare la storia per trasformarla in Saw II – La soluzione dell’enigma. Il film venne girato in meno di un mese e alla vigilia di Halloween del 2005 uscì nelle sale americane, inaugurando una vera e propria tradizione che sarebbe durata per i 5 anni successivi. Dal punto di vista commerciale, fu un successo anche maggiore del primo capitolo, ma venne stroncato dalla critica.
Determinante fu l’impronta registica impressa da Bouseman, che molto più di James Wan indugia con compiacimento su torture, dolore, sofferenza e splatter, brevettando una formula che il pubblico parve gradire molto e trasformando il torture porn in una metafora contemporanea.
Saw e la nascita del torture porn mainstream
Il primo Saw fu precursore di quello che in seguito divenne un vero e proprio sottogenere che sdoganò la violenza - sia grafica che psicologica - all’interno del circuito horror-mainstream, prima di essere ricacciata nell’underground estremo da cui era fuoriuscita.
Una sorta di bolla di sapone che durò una manciata di anni e che i critici, con sdegno, etichettarono sotto il nome torture-porn. Sotto questo nomignolo si annidano produzioni in cui si evidenziano quattro caratteristiche principali: mutilazioni, nudità, sadismo e tortura; il tutto tenuto insieme da una trama che è solo un pretesto (un po’ come avviene nei porno). Hostel, Captivity, Turistas, Wolf Creek sono solo alcuni dei titoli che rientrano a pieno diritto in questo sottogenere. Ma la saga di Saw ne diventerà senza dubbio l’esponente più longevo
L’eredità di Jigsaw
Al di là dei vari reboot e remake delle icone classiche del genere, da Freddy Krueger a Michael Myers, Jigsaw è stata la sola “maschera” horror originale ad approdare sul grande schermo con un’intera saga (ancora in via di sviluppo) nel nuovo millennio, il che non è cosa da sottovalutare.
John Kramer e i suoi adepti sono serial killer, tossici, psicopatici, maniaci e torturatori; l’incarnazione delle paure di cui l’horror si è nutrito negli ultimi vent’anni, conditi da una violenza esplicita ed estremamente realistica. Eppure al contempo sono anche poliziotti, detective, medici, amorevoli padri di famiglia; lo specchio più blando della nostra società.
Non sono più maschere iconiche come quella da hockey di Venerdì 13 o quella di pelle di Faccia di cuoio a incutere timore oggi, bensì è la più generica paura del prossimo, chiunque esso sia. Perché nella società moderna tutti indossiamo delle maschere e, pertanto, nessuno è ciò che sembra.
Dietro a quella facciata rassicurante potrebbe nascondersi un mostro, non metaforico ma incredibilmente reale, perciò non ci si può più fidare di nessuno, né dei nostri amici, né delle autorità, né della comunità in cui viviamo, ma solo ed esclusivamente dei nostri familiari e in alcuni casi nemmeno di quelli. E se il cinema horror ha da sempre rappresentato, anche attraverso la saga di Saw, una grande metafora delle paure che affliggono la società, il messaggio allora appare decisamente chiaro e terribilmente inquietante.
Il nuovo capitolo della saga, Spiral - L'eredità di Saw arriva al cinema il 16 giugno 2021.