Buenos Aires. Napoli. Napoli. Buenos Aires. Il docufilm di Asif Kapadia su Diego Armando Maradona è dipinto di azzurro: il colore che lega la nazionale Argentina e il Napoli. Kapadia (già regista di Amy - The girl behind the name, Premio Oscar 2015) inizia dall’epilogo per riportarci, passo dopo passo, pallone dopo pallone, a tracciare le orme di un giocatore e dell’uomo che “sparisce” una volta entrato in campo.
Maradona è in campo anche durante il film: la sua voce, in sottofondo ma quasi reale, commenta e spiega le immagini che si susseguono e gli eventi che lo travolgono.
Tutto il film, ma per estensione, tutta la sua vita, segue il leitmotiv con cui risponde Pelé a un giornalista: «Maradona è bravo ma non è ancora pronto dal punto di vista psicologico». Che sia questa la chiave per spiegare il fiume che travolge letteralmente il Maradona fuoriclasse e quindi Diego in persona?
Non lo sappiamo, ma di certo è interessante riflettere sul ruolo giocato in campo da Maradona e anche (alla fine, soprattutto) quello sociale, all'interno in una città: Napoli. È proprio qui che si inserisce il vero mandato di Diego Maradona: rappresenta una rivincita, sociale ed economica; se non reale, per lo meno mentale e ideologica. Una volta in campo, sa come portare quella città e quella gente lontana dalla sua realtà; distante, anche se solo per 90 minuti, dai suoi effettivi problemi. Con lo sguardo del regista attraversiamo Napoli: il vetro anteriore dell'automobile su cui ci troviamo, con lui, filtra tutto; ma, allo stesso tempo, rende evidenti tutte le contraddizioni. Se, inizialmente, Maradona rimane basito e smarrito di fronte a domande scomode che puntano i riflettori sulle mancanze della città, poco dopo sembra farsi risucchiare.
Per tutto il film, veniamo coinvolti da sentimenti contrastanti: desiderio di riscatto ma anche rimpianti, perdite e paura. Fuori e dentro il campo. Dal vetro di quell’auto vediamo scorrere la vita e il declino di Maradona: Diego fugge da Villa Fiorito, la favela in cui è cresciuto, per riscattarsi e per riscattare una città che aveva bisogno di un motivo per tornare a gioire e per prendersi una pausa da se stessa. Questa rivincita, almeno in campo, arriva
Partita dopo partita. Vittoria dopo vittoria. Ma più vince, più Diego perde parti di sé, fino a smarrirsi completamente.
Qui il suo ruolo di giocatore lascia spazio a quello di ‘salvatore’ di una parte d’Italia: e senza, forse, neanche accorgersene, diventa lui il sacrificio perfetto. Così, per i napoletani, (ma un po’ per tutti) la domenica diventa un giorno religioso; non per eventuali funzioni, ma per poter vedere in campo realizzata una speranza tanto alimentata negli anni. La domenica, in quel campo, c’era solo Maradona, che non poteva essere debole. E poi c'era Diego, l'insicuro, che invece, rimaneva fuori in una panchina lontana. Il campo l'ha salvato, ma l’ha anche inghiottito.
«Essere famosi è un bel peso», ricorda la sorella Maria. Perché se è vero che quando sei in campo la vita sparisce, va anche ammesso che non si resta in campo per sempre e che la vita ti aspetta e non ti perdona tutti i gol mancati fuori da quel campo. Forse il peso su Maradona è stato eccessivo, forse ingombrante, sicuramente impegnativo. Ma non poteva non corrispondere così tanto declino a così tanta magnificenza.
E allora va bene tutto quello che si è vissuto se non si poteva fare diversamente (non si poteva veramente?), se non si poteva essere grandi a metà e sconfitti così tanto. Forse, non fosse andata così, non saremmo potuti passare attraverso la citta e guardarla da quel vetro. Per affermare, poi, come quell’Ultrà, davanti al cimitero: «che vi siete persi!».
Genere: documentario
Titolo originale: Diego Maradona
Paese/Anno: Regno Unito, 2019
Regia: Asif Kapadia
Montaggio: Chris King
Colonna sonora: Antonio Pinto
Produzione: On the Corner Films
Distribuzione: Nexo Digital
Durata: 130'
Data di uscita: 23/09/2019