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Life in Plastic non poi così Fantastic: le promesse mancate di Barbie

20/07/2023 16:29

Samantha Ruboni

Editoriale, Approfondimento Film, Film Commedia, Margot Robbie, Warner Bros., Greta Gerwig, Ryan Gosling, Noah Baumbach, Barbie,

Life in Plastic non poi così Fantastic: le promesse mancate di Barbie

Alla fine dei conti, è tutta hype o vale la pena andare a vedere Barbie?

Abbiamo comprato tutto il merch possibile e, in questi giorni, persino chi detesta vestire di rosa ha almeno un capo fucsia o cipria nell’armadio. Ma, alla fine dei conti, è tutta hype o vale la pena andare a vedere Barbie?

Finalmente arriva al cinema Barbie di Greta Gerwig. Il film dell’anno, che ha dato l’avvio a una battle mai immaginata e cioè il Barbieheimer: la lotta al botteghino con Oppenheimer di Christopher Nolan, che sta rendendo questa estate - già di per sé così caldissima - ancora più calda. 

 

È dalla prima foto “rubata” sul set che aspettavamo di vederlo e ora è arrivato. Abbiamo comprato tutto il merch possibile e, in questi giorni, persino chi detesta vestire di rosa ha almeno un capo fucsia o cipria nell’armadio. Ma, alla fine dei conti, è tutta hype o vale la pena andare a vedere Barbie?

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Se Barbie diventa un'icona femminista

 

Le Barbie fanno da sempre parte del nostro immaginario collettivo, sopratutto di bambine e ragazze. Chi di noi non ha mai giocato con una di loro? Io, personalmente, ne avevo uno scatolone pieno; senza contare abitazioni, automobili e accessori. Ma è anche vero che, quando si cresce, si comincia a essere più critiche.

E Barbie, del resto, altro non è che uno stereotipo in plastica; il simbolo di come la società capitalista vorrebbe ognuna di noi: un bell’oggetto da esporre. Coerentemente con questa presa di coscienza, da cui tutte a un certo punto della vita siamo passate, Greta Gerwig  - che con Lady Bird e Piccole Donne ha reso decisamente esplicita la sua idea di cinema - si inventa Barbie Stereotipo, la paladina del femminismo mainstream. 

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Dalla sua, Gerwig (che scrive il film con il compagno Noah Baumbach) ha una delle armi più vincenti che esistono: l’ironia. E proprio grazie a questa, Greta e Noah possono raccontare la propria storia femminista come una commedia irriverente. È così che in un film su e con Barbie si parla di patriarcato, parità di genere, sorellanza, girl power. Ma che femminismo è quello di Barbie (e di Greta Gerwig)?

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Senza paura di essere snob, possiamo definirlo femminismo for dummies? Se è troppo, allora correggiamo il tiro e chiamiamolo femminismo da maglietta. Per capirci, è il femminismo che Chiara Ferragni porta sul palco di Sanremo, il femminismo del privilegio. Fatto di slogan, di concetti triti e ritriti. L'obiezione che qualcuno farà, certamente, è che si tratta di un blockbuster, di un film che ha come scopo arrivare alle masse: ma proprio per questo, forse, valeva la pena aggiornarsi. Se per Greta siamo noi tutte le Barbie a cui insegnare il femminismo (l'impressione è questa, in più di un punto) allora che questo insegnamento arrivi per bene. Per esempio, rendendo più chiaro che questo film  non è solo un blockbuster hollywoodiano: è il blockbuster di Mattel.

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Il marketing di Mattel c'è e si vede 

 

In giro si legge che il film di Gerwig è una satira della Mattel, e l'affermazione fa sinceramente sorridere. Se per satira si intende un film celebrativo basato sul product placement (di cui Mattel Films è anche produttrice) dove a un certo punto compare il “CEO cattivone”, allora non ci siamo proprio: il personaggio interpretato da quel mostro di comicità di Will Ferrell (relegato a un personaggio macchietta senza infamia e senza lode) non si può nemmeno definire un antagonista, perché è talmente inutile che quasi ci si dimentica che esiste. 

Ma soprattutto, come può essere satira un film che consiste - di fatto - in due ore di pubblicità del prodotto Barbie, con tanto di corsa irrefrenabile all’accessorio/abito/gadget brandizzato? Dai, ci siamo praticamente cadute tutte (me compresa) nella trappola del marketing. E va bene, per carità, però bisogna dirselo.

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Il trionfo di Ken (e di Ryan Gosling)

 

Possiamo dire che la cosa migliore di questo film sono i Ken? Soprattutto il Ken protagonista, che ha il ciuffo biondo di Ryan Gosling: finalmente, solo dopo The Nice Guys, l'attore canadese esprime tutto il suo potenziale comico e ruba completamente la scena (anche alla splendida Margot Robbie). In Barbie si esibisce con ironia, danze, canti e il sviluppo del personaggio è interessante e davvero sorprendente. Alla fine, in un film tanto femminista, va a finire che è proprio la controparte maschile ad avere le battute migliori.

La genialata? [SPOILER] Il Ken di Ryan Gosling, solo dopo poche ore nel mondo reale, scopre il maschilismo tossico e il patriarcato: ne capisce l'essenza e, dopo averlo appreso, decide di portarlo a Barbieland (ma solo perché con il patriarcato erano compresi i cavalli). È il plot twist più interessante di tutto il film e, sì, i Ken  - nella loro stupidità - sono la parte meglio riuscita nel film.

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Cosa resta di Barbie 

 

Dal 1959 Barbie è il modello di bellezza per milioni di bambine. E per lunghissimi anni questo modello di bellezza è stata  - unicamente - una donna bianca, bionda, magra. Oggi, per fortuna, Mattel si è attrezzata e la bambola più famosa del mondo ha moltissime fattezze diverse e vive infinite avventure.

 

Tanto che, all’inizio del film, sin dalla sequenza alla 2001: Odissea nello spazio (questa sì, geniale) la Mattel e le Barbie vengono raccontate come il futuro; ciò che permette alle ragazzine di sognare e di diventare ciò che vogliono. Questa sì, è una bella favola. A Gerwing serve per costruire la sua trama, al film (che, del resto, è prodotto da Mattel) per avvicinare il nostro consenso verso le Barbie e farci dire Ah che brava Mattel a realizzare le Barbie, bambole compagne di giochi di tutte le bambine

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Inoltre, in tutto il film, le Barbie vengono descritte come la raffigurazione dell'inclusività quando basta andare in un negozio di giocattoli o in supermercato per rendersi conto che non è affatto così: già se si trova una bambola con i capelli scuri si urla al miracolo. 

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Infine, un'ultima annotazione puramente cinematografica. Ormai da un po’ di anni c'è un problema grosso con i finali dei film: Barbie non inverte il trend. Questo film non  meritava un tale epilogo, che va a cozzare con tutto il resto: stiamo vedendo Pinocchio o Barbie? Un momento lento e melenso che rompe completamente il ritmo e non c'entra proprio nulla con il tono dissacrante che Gerwig e Baumbach mantengono per tutto il film. 

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Insomma, vale la pena vedere Barbie? Dipende. Qualcuna di noi è possibile che si arrabbi molto: è una storia con davvero tanto potenziale, la messa in scena è grandiosa e gli interpreti calzano a pennello; che peccato, però, non si sia messo in moto ciò che poteva essere se solo si avesse avuto più coraggio. O se il film non fosse stato prodotto da Mattel. Ma allora, forse, non sarebbe stato così grandioso.

 

Una buona idea e il talento di Greta Gerwig è finito sotterrato da un sacco di glitter (rosa) e dal marketing. Quindi facciamo così: Barbie è una bella commedia per l’estate, ma per il film femminista dell'estate aspettiamo il prossimo anno.

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