Abbiamo comprato tutto il merch possibile e, in questi giorni, persino chi detesta vestire di rosa ha almeno un capo fucsia o cipria nell’armadio. Ma, alla fine dei conti, è tutta hype o vale la pena andare a vedere Barbie?
Finalmente arriva al cinema Barbie di Greta Gerwig. Il film dell’anno, che ha dato l’avvio a una battle mai immaginata e cioè il Barbieheimer: la lotta al botteghino con Oppenheimer di Christopher Nolan, che sta rendendo questa estate - già di per sé così caldissima - ancora più calda.
È dalla prima foto “rubata” sul set che aspettavamo di vederlo e ora è arrivato. Abbiamo comprato tutto il merch possibile e, in questi giorni, persino chi detesta vestire di rosa ha almeno un capo fucsia o cipria nell’armadio. Ma, alla fine dei conti, è tutta hype o vale la pena andare a vedere Barbie?
Se Barbie diventa un'icona femminista
Le Barbie fanno da sempre parte del nostro immaginario collettivo, sopratutto di bambine e ragazze. Chi di noi non ha mai giocato con una di loro? Io, personalmente, ne avevo uno scatolone pieno; senza contare abitazioni, automobili e accessori. Ma è anche vero che, quando si cresce, si comincia a essere più critiche.
E Barbie, del resto, altro non è che uno stereotipo in plastica; il simbolo di come la società capitalista vorrebbe ognuna di noi: un bell’oggetto da esporre. Coerentemente con questa presa di coscienza, da cui tutte a un certo punto della vita siamo passate, Greta Gerwig - che con Lady Bird e Piccole Donne ha reso decisamente esplicita la sua idea di cinema - si inventa Barbie Stereotipo, la paladina del femminismo mainstream.
Dalla sua, Gerwig (che scrive il film con il compagno Noah Baumbach) ha una delle armi più vincenti che esistono: l’ironia. E proprio grazie a questa, Greta e Noah possono raccontare la propria storia femminista come una commedia irriverente. È così che in un film su e con Barbie si parla di patriarcato, parità di genere, sorellanza, girl power. Ma che femminismo è quello di Barbie (e di Greta Gerwig)?
Senza paura di essere snob, possiamo definirlo femminismo for dummies? Se è troppo, allora correggiamo il tiro e chiamiamolo femminismo da maglietta. Per capirci, è il femminismo che Chiara Ferragni porta sul palco di Sanremo, il femminismo del privilegio. Fatto di slogan, di concetti triti e ritriti. L'obiezione che qualcuno farà, certamente, è che si tratta di un blockbuster, di un film che ha come scopo arrivare alle masse: ma proprio per questo, forse, valeva la pena aggiornarsi. Se per Greta siamo noi tutte le Barbie a cui insegnare il femminismo (l'impressione è questa, in più di un punto) allora che questo insegnamento arrivi per bene. Per esempio, rendendo più chiaro che questo film non è solo un blockbuster hollywoodiano: è il blockbuster di Mattel.
Il marketing di Mattel c'è e si vede
In giro si legge che il film di Gerwig è una satira della Mattel, e l'affermazione fa sinceramente sorridere. Se per satira si intende un film celebrativo basato sul product placement (di cui Mattel Films è anche produttrice) dove a un certo punto compare il “CEO cattivone”, allora non ci siamo proprio: il personaggio interpretato da quel mostro di comicità di Will Ferrell (relegato a un personaggio macchietta senza infamia e senza lode) non si può nemmeno definire un antagonista, perché è talmente inutile che quasi ci si dimentica che esiste.
Ma soprattutto, come può essere satira un film che consiste - di fatto - in due ore di pubblicità del prodotto Barbie, con tanto di corsa irrefrenabile all’accessorio/abito/gadget brandizzato? Dai, ci siamo praticamente cadute tutte (me compresa) nella trappola del marketing. E va bene, per carità, però bisogna dirselo.
Il trionfo di Ken (e di Ryan Gosling)
Possiamo dire che la cosa migliore di questo film sono i Ken? Soprattutto il Ken protagonista, che ha il ciuffo biondo di Ryan Gosling: finalmente, solo dopo The Nice Guys, l'attore canadese esprime tutto il suo potenziale comico e ruba completamente la scena (anche alla splendida Margot Robbie). In Barbie si esibisce con ironia, danze, canti e il sviluppo del personaggio è interessante e davvero sorprendente. Alla fine, in un film tanto femminista, va a finire che è proprio la controparte maschile ad avere le battute migliori.
La genialata? [SPOILER] Il Ken di Ryan Gosling, solo dopo poche ore nel mondo reale, scopre il maschilismo tossico e il patriarcato: ne capisce l'essenza e, dopo averlo appreso, decide di portarlo a Barbieland (ma solo perché con il patriarcato erano compresi i cavalli). È il plot twist più interessante di tutto il film e, sì, i Ken - nella loro stupidità - sono la parte meglio riuscita nel film.
Cosa resta di Barbie
Dal 1959 Barbie è il modello di bellezza per milioni di bambine. E per lunghissimi anni questo modello di bellezza è stata - unicamente - una donna bianca, bionda, magra. Oggi, per fortuna, Mattel si è attrezzata e la bambola più famosa del mondo ha moltissime fattezze diverse e vive infinite avventure.
Tanto che, all’inizio del film, sin dalla sequenza alla 2001: Odissea nello spazio (questa sì, geniale) la Mattel e le Barbie vengono raccontate come il futuro; ciò che permette alle ragazzine di sognare e di diventare ciò che vogliono. Questa sì, è una bella favola. A Gerwing serve per costruire la sua trama, al film (che, del resto, è prodotto da Mattel) per avvicinare il nostro consenso verso le Barbie e farci dire Ah che brava Mattel a realizzare le Barbie, bambole compagne di giochi di tutte le bambine.
Inoltre, in tutto il film, le Barbie vengono descritte come la raffigurazione dell'inclusività quando basta andare in un negozio di giocattoli o in supermercato per rendersi conto che non è affatto così: già se si trova una bambola con i capelli scuri si urla al miracolo.
Infine, un'ultima annotazione puramente cinematografica. Ormai da un po’ di anni c'è un problema grosso con i finali dei film: Barbie non inverte il trend. Questo film non meritava un tale epilogo, che va a cozzare con tutto il resto: stiamo vedendo Pinocchio o Barbie? Un momento lento e melenso che rompe completamente il ritmo e non c'entra proprio nulla con il tono dissacrante che Gerwig e Baumbach mantengono per tutto il film.
Insomma, vale la pena vedere Barbie? Dipende. Qualcuna di noi è possibile che si arrabbi molto: è una storia con davvero tanto potenziale, la messa in scena è grandiosa e gli interpreti calzano a pennello; che peccato, però, non si sia messo in moto ciò che poteva essere se solo si avesse avuto più coraggio. O se il film non fosse stato prodotto da Mattel. Ma allora, forse, non sarebbe stato così grandioso.
Una buona idea e il talento di Greta Gerwig è finito sotterrato da un sacco di glitter (rosa) e dal marketing. Quindi facciamo così: Barbie è una bella commedia per l’estate, ma per il film femminista dell'estate aspettiamo il prossimo anno.