Per l'episodio 2 della rubrica Cinema e Storia, siamo al 1946: è l'anno in cui arriva in sala Una vita difficile di Dino Risi.
Cinema e Storia è uno spazio che vuole essere testimonianza della storia italiana osservata dal punto di vista del cinema. Per ogni anno, a partire dal 1945, data simbolo della rinascita del nostro paese, individueremo un avvenimento significativo raccontandolo attraverso un film italiano che a esso sia, in qualche modo, collegato.
In un paese lacerato dai cinque anni di conflitto e con il lascito pesante di un ventennio di feroce dittatura, il ritorno a una vita normale era un’esigenza alla quale la maggioranza degli italiani aspirava, per potersi lasciare definitivamente alle spalle, seppur con le grandi difficoltà dovute alla pesante eredità della guerra, gli anni cupi e dolorosi appena trascorsi. Dal punto di vista politico e sociale il 1946 fu un anno cruciale per la storia italiana: il 2 giugno il popolo venne chiamato alle urne per decidere, con un referendum, se mantenere la monarchia o se voltare definitivamente pagina, dandosi un ordinamento repubblicano.
Il film che nell’immaginario collettivo meglio rappresenta tale avvenimento è, senza ombra di dubbio, Una vita difficile di Dino Risi (1961).
Verso il boom: cosa racconta Una vita difficile
Realizzato da Risi quasi in contemporanea a Il sorpasso (uscito nelle sale l’anno successivo), Una vita difficile coglie in maniera ironica e, allo stesso tempo, drammatica i sentimenti contrastanti dell’epoca. Compiendo un percorso temporale che dalla guerra di liberazione dal nazifascismo arriva sino al periodo della rinascita economica, con il cosiddetto “boom” e l’effimera speranza di aver raggiunto, finalmente, un certo grado di benessere.
La pellicola di Risi prende l’avvio nel 1944, sulle sponde del Lago di Como. Qui il partigiano romano Silvio Magnozzi (Alberto Sordi), catturato dai tedeschi, sta per essere fucilato. Grazie all’aiuto della giovane Elena (Lea Massari) che spacca la testa al soldato tedesco che sta per giustiziarlo, riesce a fuggire nascondendosi in un mulino. Fra Silvio e la ragazza nasce una storia d’amore fatta di passione e promesse di una vita migliore, bruscamente interrotta nel momento in cui l’uomo decide di riunirsi con i suoi compagni in montagna.
Tornato a Roma dopo il 25 aprile, Silvio riprende il suo vecchio lavoro di giornalista presso una testata indipendente di sinistra. Poi, dopo qualche tempo, riallacciati i rapporti con Elena, la sposa portandola a vivere nella capitale.
Silvio Magnozzi è un uomo integerrimo e con saldi ideali. Il suo essere di sinistra non gli permette di cedere ad alcun compromesso, cosa che lo pone sempre ai margini. Schivato da tutti e senza soldi, obbliga Elena a una vita di privazioni che a lungo andare causerà, inevitabilmente, un logoramento del loro rapporto, sino all’inevitabile separazione.
Il tempo in Una vita difficile
Una vita difficile copre uno spazio temporale di circa vent’anni, durante il quale assistiamo, da un lato, agli sforzi di Silvio per sopravvivere senza dover cedere ai compromessi, dall’altro, ai numerosi avvenimenti che hanno caratterizzato la storia del nostro paese. Dal referendum monarchia-repubblica alle prime elezioni politiche del 1948 con la vittoria della Democrazia Cristiana. Passando per l’attentato a Togliatti e arrivando al “boom economico”, in un breve compendio della storia d’Italia che riporta alla mente C’eravamo tanto amati di Ettore Scola.
Il film di Scola, infatti, con la pellicola di Risi ha molti punti in comune, non ultimo la figura di Antonio (Nino Manfredi), il portantino di ospedale che, come Silvio Magnozzi, paga di persona il fatto di non voler rinnegare gli ideali in cui ha sempre creduto.
Un ritratto dell'Italia del dopoguerra
Una vita difficile è quindi uno spaccato reale di un ben determinato periodo della nostra storia, un’epoca che il protagonista affronta arrancando ma sempre con la schiena diritta, anche se vede gli ideali per cui ha combattuto venire rapidamente soppiantati da altri “credo”, legati sempre più a logiche opportunistiche e sempre più distanti dai suoi.
Insieme alla società per cui ha lottato e in cui non si ritrova più, Silvio assiste al cambiamento delle persone a lui più care.
Come il collega Franco (Franco Fabrizi) che abbandona il piccolo giornale indipendente vendendosi alla stampa del padrone. O la stessa Elena che, non sopportando più la vita di stenti a cui è costretta dal marito, decide di lasciarlo per fare ritorno al paese sul lago e iniziare, in seguito, una relazione con un ricco industriale.
Capolavoro di sceneggiatura
Sono molti i fattori che determinano la bellezza di Una vita difficile. La messa in scena, ad esempio, con inquadrature realizzate spesso in campo lungo e lunghissimo, nelle quali il povero Silvio quasi si perde, come a venire risucchiato in un mondo che, ormai, non gli appartiene più. Ma a fare di questo film uno dei capolavori del cinema italiano è soprattutto la sceneggiatura di Rodolfo Sonego, fra i più importanti autori del cinema italiano che ha legato il suo nome a moltissime pellicole di successo tra le quali Achtung! Banditi! (Carlo Lizzani, 1951), Anna (Alberto Lattuada, 1951), Roma, ore 11 (Giuseppe De Santis, 1952), La spiaggia (Alberto Lattuada, 1954), Totò e Carolina (Mario Monicelli, 1954), Il vedovo (Dino Risi, 1959), Il vigile (Luigi Zampa, 1960), Detenuto in attesa di giudizio (Nanni Loy, 1971).
In Una vita difficile Sonego imprime alla scrittura un ritmo incalzante, consentendo in tal modo un’immersione totale nell’Italia di quegli anni. Alternando momenti ironici ad altri estremamente drammatici e inserendo alcune note dal sapore fortemente autobiografico in quanto anche lui, come Silvio Magnozzi, dopo essere stato partigiano, giunge a Roma dove inizia a sbarcare il lunario nel cinema, sino a quando non trova il successo come sceneggiatore con La spiaggia.
La cena nella casa dei principi Rustichelli
Una vita difficile, come già detto, pur attraversando circa due decenni di storia è ricordato soprattutto per la famosa sequenza della cena nella casa dei principi Rustichelli alla quale Silvio ed Elena vengono invitati (anche se scopriranno che l’invito era solo a scopo scaramantico, per non rimanere in tredici a tavola).
È la sera della proclamazione dell’esito del referendum monarchia-repubblica; i convitati sono aristocratici appartenenti a quella nobiltà piemontese - che intuiamo ascoltando lo spiccato accento torinese di alcuni di loro – vecchia, polverosa e compromessa con il regime. Alla proclamazione dei dati ufficiali, fra lacrime e scene di dolore dei loro ospiti per la caduta del re, Silvio ed Elena decideranno di andarsene, ma non prima di aver terminato l’appetitoso piatto di pasta che è stato servito loro.
La cena a palazzo Rustichelli è solo una delle tante scene memorabili di cui tutto il film è costellato. Ad esempio, quella in cui un Sordi ubriaco percorre il lungomare di Viareggio insultando e sputando sulle macchine che gli sfrecciano accanto, condannando chi, secondo lui, è reo di essersi venduto al benessere economico e ai suoi moderni e falsi miti.
O, ancora, il finale in cui Silvio ormai vinto, divenuto nel frattempo segretario di quell’industriale che, anni prima, aveva tentato inutilmente di comprarlo per evitare la pubblicazione di un articolo di denuncia dei suoi loschi affari trova, in un moto di orgoglio dopo l’ennesima umiliazione, il coraggio di schiaffeggiarlo violentemente in pubblico, facendolo volare nella piscina della villa. U
n gesto coraggioso e liberatorio con il quale Silvio rinuncerà definitivamente agli agi ai quali anche lui era approdato per compiacere la ritrovata Elena, ma che gli consentirà di uscire a testa alta sotto braccio a Elena.
Una vita difficile è quindi un’opera filmica fatta di scene memorabili e, soprattutto, di grandi prove attoriali.
In un cast in cui si annoverano anche Silvana Mangano, Alessandro Gassman e Alessandro Blasetti in brevi camei nella parte di se stessi, Lea Massari e Franco Fabrizi sono molto bravi nel caratterizzare i loro rispettivi personaggi.
Ma, a svettare è, senza ombra di dubbio, Alberto Sordi superlativo nel vestire i panni dell’integerrimo Magnozzi e fornendo una prova che raggiunge uno dei vertici della sua lunghissima carriera. Istrionico quando serve, drammatico quando il copione glielo richiede, Sordi riesce a calibrare in maniera perfetta, senza andare mai sopra le righe, il proprio personaggio, una maschera grottesca e tragica calata in una ricostruzione attenta e realistica di uno dei momenti storici più intensi della nostra giovane repubblica.