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«Dopo che abbiamo visto l'inferno, che cosa facciamo?»: intervista a Srdjan Spasojevic, autore di A Serbian

07/10/2023 14:05

Marco Filipazzi

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«Dopo che abbiamo visto l'inferno, che cosa facciamo?»: intervista a Srdjan Spasojevic, autore di A Serbian Film

Abbiamo intervistato Srdjan Spasojevic, produttore, sceneggiatore e regista di uno dei film più controversi del cinema estremo: A Serbian Film.

Durante la 10ma edizione del Torino Underground Cinefest abbiamo intervistato Srdjan Spasojevic, produttore, sceneggiatore e regista di uno dei film più controversi del cinema estremo: A Serbian Film. 

Lo scorso 22 settembre è partita ufficialmente la 10a edizione del Torino Underground Cinefest, festival di cinema indipendente, ideato e diretto dal regista Mauro Russo Rouge. Per questo anniversario l’evento d’apertura è stato davvero d’eccezione (a gran voce ripetuto anche la sera dopo) ovvero la proiezione sul grande schermo del Cineteatro Baretti di Torino del film shock per eccellenza. A Serbian Film.

Ma non solo. A seguito della proiezione ecco entrare in sala un pacatissimo Srdjan Spasojevic, produttore, sceneggiatore e regista della controversa pellicola che con un aplomb impeccabile ha risposto alle numerose domande del pubblico.

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Definire Srdjan Spasojevic un regista cult sarebbe riduttivo. Nel mondo del cinema è sbucato praticamente dal nulla e ha prodotto di tasca propria il film più oltraggioso (diciamo così) che sia mai arrivato sul grande schermo, in grado di suscitare forti reazioni di sdegno anche a 13 anni dalla sua uscita. Se non ci credete, basta andare a leggere alcuni commenti in seguito all’annuncio della serata.

 

«Va bene la libera d’espressione, ma c'è un limite a tutto!»

«Mi chiedo come possa essere legale la proiezione di questo film!»

«È un film malato, contro ogni valore morale e dignità umana».

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E dopo aver confezionato questa bomba atomica, Spasojevic è praticamente svanito. Giusto una fugace apparizione nel collettivo ABC’s of the Death con il minimetraggio R is for Removed (letteralmente dalla durata di 5 minuti) dove comunque lasciava intendere la sua visione del mondo del cinema. Dopodiché, più nulla!

 

Si era tornati a parlare di lui all’annuncio che Stephen Biro si stesse dedicato ad A Serbian Documentary, un dettagliatissimo backstage del film composto in gran parte da materiale di scarto e videodiari di produzione. Ma correva l’anno 2018 e ancora oggi non se ne conoscono gli sviluppi distributivi.

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Srdjan Spasojevic è alto, vestito di nero, i capelli corti e un’espressione sicura. Ha l'aria di uno che si è già sentito chiedere allo sfinimento perché ha realizzato un film del genere e ormai sa perfettamente cosa rispondere. Lo fa in modo gentile, articolando e motivando le proprie risposte.

Inizio a chiederti molto banalmente qual è la tua scena preferita del tuo film?

 

Non ci avevo mai pensato. Probabilmente è la scena d’azione finale, dove c’è questa battaglia in cui il protagonista lotta contro i cattivi. Mi piace perché ricorda molto la scena di un film di Chuck Norris.

 

Il film è che una metafora, una denuncia politica alla Serbia. Come mai lo hai realizzato in una chiave così estrema?

 

È molto complicato parlare del mio lavoro, perché per me è difficile da realizzare. Siamo partiti da un contesto sicuramente più ampio e abbiamo osservato quello che ci circondava con l’idea di riuscire a raccontare una storia che fosse universale. Una storia che potesse parlare a chiunque. Ed effettivamente ci siamo riusciti, in quanto ancora oggi il film fa discutere e sta sbarcando su nuovi mercati, come il Giappone o la Corea del Sud. 

 

Quello che volevo creare era una storia interessante; la rappresentazione del mondo compromesso in cui viviamo. Volevo raccontare i sentimenti più profondi e onesti di ognuno di noi e nel farlo volevo che parlasse una lingua istintiva e universale.

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Ogni regista, ogni autore è un po’ il proprio protagonista… Tu sei Milos?

 

Effettivamente io mi sento il protagonista perché - come dicevo - ho voluto rappresentare i miei sentimenti onesti. L'ho fatto attraverso il personaggio di Milos. Vogliamo tutti vivere la storia attraverso di lui, attraverso i suoi sentimenti, attraverso quello che gli succede e lo vediamo attraverso questi vari momenti che vive. Possiamo dire che questo è un film negativo, ma lascia energia positiva alla fine. Ok, abbiamo visto l'inferno: ma ora cosa facciamo?

Il momento in cui Milos si rivede attraverso la videocamera, può essere inteso come una metafora: a un certo punto della vita tutti noi ci rendiamo conto, in un momento di lucidità, di avere fatto qualcosa di orribile ma tendiamo a rimuovere questo evento per poter andare avanti. Ti ritrovi in questa metafora? 

 

Sì, in parte è così, ma io la vedo più come una reazione a quello che è avvenuto. 

All’inizio ci serve per capire, per sbloccare questo ricordo nascosto che abbiamo vissuto in precedenza; ma poi, come succede nel film, quando lo abbiamo capito continuiamo ad andarlo a rivedere per poterlo superare. È come se ci fosse un innesco dentro di noi, come se fossimo posseduti da un diavolo che ci fa attraversare l’inferno senza che ce ne rendiamo conto.

Diresti che il film è connesso alla pornografia? Perché lo hai ambientato in questo mondo?

 

In realtà in A Serbian Film  non ci sono scene pornografiche in senso stretto.  La questione dell’attore porno è in realtà una metafora. Tutti noi, dal momento in cui ci svegliamo al mattino, usciamo di casa, andiamo al lavoro... siamo sempre e comunque noi. Non il nostro lavoro. Milos fa l’attore porno? Poco cambia, è un lavoro come un altro, come fare il cantante o l’avvocato. Per quello che volevo raccontare, avrebbe potuto essere qualsiasi altra cosa.

Come ti aspettavi che avrebbe reagito il pubblico all’uscita del film?

 

Non mi aspettavo nulla. Avevo questa idea fanciullesca e naif di voler fare un film onesto, che raccontasse una realtà istintiva. Ma non avevo una vera e propria aspettativa.

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Lungo la trama del film succedono cose terribili al protagonista ma, nonostante tutta questa violenza, molte persone si sono divertite a guardare il tuo film. Secondo te questo ha a che fare con il subconscio e con i nostri istinti animaleschi?

 

Questa domanda richiederebbe una risposta complicata e in parte filosofica. Non mi addentrerò nella filosofia, ma cercherò di razionalizzare quello che penso. Il mio film è stato estremamente influenzato dagli autori americani degli anni ‘70, sia dal punto di vista stilistico, sia della struttura o dello storytelling. Il fardello che si porta dietro A Serbian Film è di raccontare cose che le persone non possono trovare in un film di Hollywood, però in un certo senso anche la mia è una forma d’intrattenimento. Nonostante i contenuti di A Serbian Film siano molto, molto duri… è solo un film. Che oltretutto si ispira alle pellicole hollywoodiane! Perciò se qualcuno lo trova divertente è probabilmente perché ha colto ciò che volevo dire con il mio film.

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Per chiudere una curiosità: com’è nata tutta questa violenza? Ma soprattutto, da dove è venuta fuori la scena del neonato?

 

Volevamo qualcosa che colpisse la gente e suscitasse emozioni. Quando si parla di A Serbian Film si pensa subito alla violenza, ma non c’è solo quella: tu percepisci la violenza, ma nel film ci sono anche altri sentimenti, come l’amore che Milos ha per la sua famiglia. 

 

In merito alla scena del neonato è semplicemente stata frutto di lunghe riunioni dove io e il co-sceneggiatore (Aleksandar Radivojević, ndr) ci facevamo venire molte idee per la storia. Alcune erano buone e sono finite nel film, altre non lo erano e le abbiamo scartate. Il neonato a noi sembrava una buona idea e l’abbiamo tenuta…e infatti ora ne stiamo ancora parlando: quindi era davvero una buona idea!

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