1936. Nel cuore della giungla sudamericana, l’archeologo Indiana Jones riesce ad impossessarsi di un antico idolo religioso di inestimabile valore; scampato alle insidie e ai congegni mortali del luogo sacro, si vede sottratto il reperto da un rivale in materia, lo scaltro ricercatore Belloq. Le strade dei due sono destinate a scontrarsi nuovamente quando il professor Jones viene contattato dai Servizi Segreti per imbarcarsi alla ricerca della mistica Arca dell’Alleanza – il forziere biblico contenente le Tavole della Legge che Dio consegnò a Mosé – e sottrarla ai Nazisti, mobilitati alla conquista di essa e dei suoi ignoti poteri. Al suo fianco nell’impervia spedizione sarà un amore del passato, Marion, portatrice di un oggetto misterioso: un medaglione con una pietra rossa al centro e le iscrizioni che conducono all’antica città di Tanis, in Egitto, luogo sotterraneo che ha custodito nei secoli l’Arca perduta. La storia di Indiana Jones germina verso la metà degli anni Settanta dalla fervida e giovane mente di un regista americano allora costantemente in cerca di idee: George Lucas. L’ispirazione gli proviene dai film d’avventura degli anni Trenta, e gli suggerisce l’idea di un personaggio dalla duplice vita: professore di archeologia che all’occorrenza dismette i panni universitari per vestire un’usurata giacca di pelle, un vissuto capello di feltro, l’inseparabile frusta, e immergersi nel cuore pulsante della Terra, in viaggio da una parte all’altra del pianeta, alla temeraria ricerca di reperti storici dal sapore arcano. Il personaggio e la storia – in particolare l’introduzione dell’Arca come elemento sacro e soprannaturale – vengono sviluppati da Lucas e Philip Kaufman, destinato inizialmente alla regia del film ma impegnato in altri lavori e costretto a procrastinare; il progetto soffre di una gestazione caratterizzata da ritardi, rimandi e rinunce. Sarà l’incontro di Lucas, Steven Spielberg, e più tardi, dello sceneggiatore Lawrence Kasdan a far decollare la produzione del primo capitolo di una delle saghe più avvincenti della storia del cinema. Indiana Jones diviene un personaggio omogeneo e ben saldo, a prescindere dall’attore che ne avrebbe vestito i panni; archeologo dedito all’avventura, alla scoperta di mondi occulti, impulsivo, talvolta burbero, ma dall’intuizione geniale, e con una salda e integra scala di valori. L’ambientazione negli anni del Nazismo (la trilogia si svolge nell’arco temporale che va dal 1935 al 1938) è il mezzo ideale per creare la contrapposizione manichea, spesso abusata ma sempre efficace, tra bene e male: Indiana Jones diviene crociato dell'ideale incarnato dallo studio della Storia, che difende strenuamente contro una forza – il Nazismo hitleriano per l’appunto – che quella storia inquina, a caccia del reperto raro solo per accrescere il proprio smalto superumanistico. Non un eroe impeccabile, preda di una paralizzante fobia dei serpenti, puntualmente in mezzo ai guai, costretto alla fuga o alla rincorsa, e spesso frustrato dai fallimenti delle sue missioni (l’incipit dei Predatori è emblematico): «è il destino dell’archeologo vedere frustrati anni e anni di ricerche», spiega lo stesso professor Jones. Ma ai fallimenti da archeologo si sostituisce un appagamento umano più alto: la consapevolezza di aver assistito e preso parte a eventi straordinari irripetibili. Dalle traversate transoceaniche, che ci catapultano nelle giungle sudamericane, alle pareti filamentose e ai tranelli letali di antichi templi religiosi, alle insidie climatiche del Nepal, fino al Cairo, alla sabbia d’Egitto, tra scavi, misteri, enigmi da svelare, alla ricerca dell’Arca dell’Alleanza, oggetto circondato da un mistero sovrumano. Proprio nell’elemento soprannaturale, in questo condurci – attraverso una scienza basata sui fatti, l’archeologia – ai limiti della razionalità , risiede il fascino e il gaudio maggiore dei Predatori. Lo stupefacente apporto visivo della Industrial Light and Magic e del supervisore agli effetti speciali Robert Edlund, rimane un esaltante e decisivo contributo alla realizzazione della pellicola, restituendoci, in particolar modo nella rivelazione finale del film, immagini memorabili e senza tempo. Karen Allen e Harrison Ford costituiscono l’irresistibile coppia protagonista della pellicola: lei brillante e grintosa, lui in perfetta aderenza al ruolo – una compenetrazione attore-personaggio talmente completa, da rendere impossibile pensare a un altro interprete nei panni dell’archeologo più famoso del cinema. Vincitore di quattro premi Oscar nel 1982: migliori effetti speciali, miglior montaggio (Michael Kahn), miglior scenografia, miglior sonoro; e quattro nomination: miglior film, miglior regia, miglior fotografia, miglior colonna sonora – indimenticabile il tema musicale di John Williams.