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Fight Club

25/03/2009 12:00

Marco Etnasi

Recensione Film,

Fight Club

La visionaria rappresentazione di una civiltà allo sbando

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Edward Norton interpreta un consulente assicurativo di una grande catena di automobili, attanagliato dalla routine, i cui unici interessi sono i mobili Ikea ed i vestiti griffati Armani. Per non finire in depressione decide di frequentare gruppi di sostegno per malati terminali, che a suo parere riaprono le porte di una pacifica vitalità, per drammatico contrasto. In uno di questi incontri conosce Marla Singer (Helena Bonham Carter), una ragazza con le stesse, malate, abitudini di Norton che diventerà, dopo un continuo ed estenuante gioco amore-odio, sua compagna di vita. Il vero nodo della storia, però, è l’amicizia che il protagonista instaura con Tyler Durden (Brad Pitt) conosciuto su un aereo come uno dei tanti “amici a porzione singola” (cosi vengono definite le persone incontrate nei suoi viaggi), ma già dai primi istanti suo imprescindibile completamento. Con Tyler crea il Fight Club, un’organizzazione di combattimenti clandestini, con lo scopo di donare ai consociati una temporanea via di uscita da una società opprimente e maldisposta nei loro confronti.


Tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palanhiuk, Fight Club è la visionaria rappresentazione di una civiltà allo sbando, cui unico mezzo di scalata sociale torna ad essere la violenza e la sopraffazione hobbsiana dell’homo homini lupus. David Fincher, che già aveva diretto Pitt in Seven, si cimenta in una tra le più “scomode” trasposizioni nella storia del cinema, lasciando alla luce il duro compito di completare ciò che non riescono a far trasparire le profonde interpretazioni degli attori. Le problematiche sociali sono le fondamenta del film e la base da cui parte il regista di Denver per le proprie riprese. “Le cose che possiedi alla fine ti possiedono” è la filosofia di Tyler Durden, anticonsumista all’ennesima potenza, che addita a principali indiziati del declino mondiale l’uso sfrenato di carte di credito e la continua ricerca della perfezione indottrinata dai mass media. Proprio in questo contesto di profondo buio, per l’umanità interviene la luce a rischiarare le menti ottenebrate dalla rabbia e dall’insicurezza cronica dei personaggi. Infatti, se la quasi interezza del film si svolge di notte, o comunque in ambienti bui, le scene di grandi rivelazioni e di bruschi cambi emotivi sono sempre accompagnate da grandi fonti di illuminazione, naturale o artificiale che sia.


Da sottolineare le performance di Edward Norton e di Brad Pitt, capaci di completarsi a vicenda e di dare ad un soggetto cosi delicato il giusto sarcasmo ed uno spietato cinismo. Altro elemento chiave è la colonna sonora, realizzata dai Dust Brothers - già produttori dei Beasty Boys - che dà, insieme alla scenografia di Alex McDowell, una sfumatura di mistero e di straziante semplicità in uno spaccato di società nient'affatto scontato. Fincher riesce dunque nel difficile intento di trasformare una spigolosa opera letteraria in una pellicola che, ormai sicura dell’etichetta di cult movie, stride sempre di più con la prima regola del Fight Club: non parlare mai del Fight Club al di fuori del Fight Club.


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