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Inti-Illimani - Dove cantano le nuvole

20/11/2011 12:00

Martina Calcabrini

Recensione Film,

Inti-Illimani - Dove cantano le nuvole

Da quando il cinema è stato definito “la settima arte”, il suo incontro/scontro con le altre sorelle è stato inevitabile...

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Da quando il cinema è stato definito “la settima arte”, il suo incontro/scontro con le altre sorelle è stato inevitabile. Come il teatro, la pittura e la scultura, anche la musica ha cercato e trovato una fusione con essa. Non servono necessariamente le parole per comunicare con il pubblico, spesso, bastano poche note strimpellate per intrattenerlo o per commuoverlo. E così Francesco Cordio e Paolo Pagnoncelli, due esordienti registi italiani, hanno deciso di realizzare Inti–Illimani - Dove cantano le nuvole, un documentario musicale dedicato al più importante gruppo vocale e strumentale cileno.


Nata nell’ambito del movimento della Nueva Canciòn Chilena, la band musicale costituisce un pezzo fondamentale della storia contemporanea sudamericana e di quella italiana degli anni ’70. Gli Inti–Illimani, infatti, sono il simbolo della libertà cilena dal dominio dittatoriale di Augusto Pinochet e rappresentano tutti quegli esiliati che sono stati costretti a rifugiarsi nel nostro paese. Non solo. Quando i musicisti, di ritorno dal Sud America, non riuscirono a tornare in patria e furono “ospitati” dall’Italia come esiliati politici, le loro canzoni iniziarono a mietere successi anche presso il pubblico peninsulare. E così, durante la loro permanenza durata 15 anni (dal 1973 al 1988), i brani degli Inti–Illimani hanno finito, ben presto, per diventare anche la metafora della storia della sinistra italiana e della sua difficoltà di rinnovamento.


La pellicola di Cordio e Pagnoncelli non ha l’obiettivo di raccontare la storia del gruppo. Dove cantano le nuvole cerca di spiegare alle nuove generazioni e di ricordare a quelle vecchie, cosa significa credere talmente tanto in qualcosa da trasformarlo in un simbolo nazionale. Nel lontano 1967 un gruppo di studenti cileni iniziò a suonare la musica del proprio paese soltanto per avere l’impressione di essere a casa o, più semplicemente, per smetterla di sentirsi degli estranei. Le loro canzoni, emozionando tutti i loto compatrioti, fecero il giro della città e si diffusero rapidamente a macchia d’olio. Il successo del gruppo non si arrestava perché arricchito continuamente di nuovi talenti (che spesso si sostituivano ai vecchi) e si plasmava, man mano, secondo le esigenze del pubblico. Il cuore di giovani esponenti musicali e l’anima di un popolo maltrattato, umiliato ed esiliato, è raccontata attraverso interviste, concerti e reperti storici che non possono, certamente, lasciare indifferenti. I registi, consapevoli dell’importanza di raccontare la realtà attraverso immagini reali, hanno permesso a svariati filmati d’archivio di entrare a far parte della narrazione per testimoniare la veridicità degli eventi. La fotografia umile e naturalistica della pellicola si sposa perfettamente con quella sofferta e scolorita dei lontani anni ’70, mentre la musica folkloristica diviene la colonna portante dell’intero film. Un documentario fatto con amore, dunque, che parla al cuore delle persone, invitandole a riscoprire l’anima delle cose, perché tutte, anche quelle più piccole, ne hanno una.


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