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50 e 50

29/02/2012 12:00

Martina Calcabrini

Recensione Film,

50 e 50

Non esiste un modo giusto per affrontare la morte o, più semplicemente, la paura di morire...

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Non esiste un modo giusto per affrontare la morte o, più semplicemente, la paura di morire. Lo sa bene Will Reiser, lo sceneggiatore di 50 e 50, il nuovo film di Jonathan Levine, che utilizza la propria esperienza personale per confezionare una pellicola che affronta tematiche difficili e scomode, riuscendo ad (auto) ironizzare sulle ansie e sulle paure conseguenti ad una grave malattia.


Adam Schwartz è un solare ragazzo di 25 anni che possiede tutto quello che si potrebbe desiderare dalla vita: una ragazza bellissima, un fedele amico, una casa accogliente e un lavoro che ama. Quando, improvvisamente, scopre di avere una rara forma di cancro che si sviluppa lungo tutta la sua colonna vertebrale, guaribile soltanto nel 50% dei casi, Adam ha bisogno di sostegno per affrontare le lunghe sedute di chemioterapia. E così, la giovane dottoressa Katherine McKay inizia a prendersi cura di lui e a fargli accettare la nuova realtà, spronandolo a (ri)organizzare completamente le priorità della sua vita.


Dal regista del poco riuscito All the boys love Mandy Lane e della simpatica commedia Fa' la cosa sbagliata, potevamo aspettarci di tutto. Jonathan Levine ama realizzare film indie, con budget limitati, attori più o meno affermati e storie sufficienti a racimolare un apprezzabile consenso popolare. 50 e 50, tuttavia, non è soltanto un tipico cancer-movie, perché riesce, senza nemmeno accorgersene, ad avvicinarsi incredibilmente ad una commedia sentimentale. Attraverso i consigli dello sceneggiatore Will "Reiser" Levine è riuscito a puntare l’obiettivo della macchina da presa proprio laddove la paura del malato si scontra con quella delle persone che lo amano. C’è chi reagisce utilizzando la malattia per rimorchiare le ragazze, chi si getta tra le braccia di un uomo, chi tempesta di telefonate il malato per accertarsi della sua salute e chi, infine, vittima dei cliché della società, sciorina luoghi comuni spacciandoli per verità universali. Ognuno, troppo preso dal proprio dolore, si dimentica degli altri: per questo, Adam sceglie di vivere la sua angoscia in solitudine sfruttando ogni momento della giornata per prepararsi all’eventualità della morte. Joseph Gordon Levitt, dopo la magistrale performance di Hesher è stato qui, si conferma attore talentuoso ed estremamente affascinante, capace di portare sulle proprie spalle il peso (emotivo e psicologico) di una pellicola toccante. Meraviglioso il momento in cui, apprendendo la brutta notizia, una silenziosa soggettiva lo mostra in tutta la sua fragilità di giovane uomo alle prese con le grandi delusioni della vita. Bravissima anche Bryce Dallas Howard, impeccabile interprete di una ragazza cinica e spregiudicata nonostante il suo tenero viso d’angelo. Un applauso, dunque, a Jonathan Levine capace di dirigere una pellicola drammatica ed ironica che, senza scendere nel patetismo esagerato o nella spicciola tragicità, fa riscoprire il valore dei sentimenti e delle piccole gioie della vita.


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