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Valhalla Rising - Regno di sangue

06/10/2013 11:00

Paolo Sammati

Recensione Film,

Valhalla Rising - Regno di sangue

Anno 1000 d...

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Anno 1000 d.C. - Dopo essersi liberato dalla prigionia cui un gruppo di pagani lo costringeva, Oneye (Mads Mikkelsen), un guerriero muto e dalla forza strabiliante, accompagnato da un giovane ragazzo che parla al posto suo, si imbatte in un gruppo di cristiani. Li seguirà verso la Terra Santa, percorrendo il suo tragitto verso il destino.


Il vento freddo e teso della Scozia, gruppi di raminghi sulle pendici, la mitologia scandinava e la più esasperata estetica della violenza. Dopo la trilogia del Pusher, Nicholas Winding Refn sceglie ancora il connazionale Mads Mikkelsen per interpretare il suo protagonista: un guerriero invincibile, monoftalmo eppure chiaroveggente, muto ma in grado di comunicare senza le parole. Un’anima grande e sconosciuta che va incontro al suo destino. E poi i silenzi, la nebbia, il sangue. Per il regista danese, qui alla sua terza produzione in lingua inglese, il cinema è immagine da contemplare, esperienza da vivere con totale dedizione ai volti, ai corpi, agli spazi. I tempi si dilatano per esaltare le tonalità plumbee del ferro, del fango e del ghiaccio: una fotografia come sempre intensa, eloquente, rende riconoscibile la forma cinematografica prediletta da Refn, quella degli orizzonti osservati in silenzio, come se la parola fosse solo sovrastruttura, inganno, smarrimento delle pulsioni primordiali.


A parlare sono i gruppi cristiani o quelli pagani del nord. Entrambi sono corrotti, assetati di potere e in cerca di popoli da assoggettare e convertire. Oneye è invece mosso unicamente dall’odio che nutre la sopravvivenza, l’impulso a compiere gesti straordinari e terrificanti, fino agli estremi della violenza più pura, esibita come in uno splatter ben confezionato, in bilico sulla linea rossa che divide il sangue dal ketchup. La negazione del linguaggio numerico, quello delle parole, non preclude tuttavia la manifestazione di una spinta positiva nell’animo del protagonista: salvare la vita del ragazzo che lo accompagna, Are. Il plot, esilissimo, si sviluppa attraverso sei capitoli che scandiscono le tappe della progressiva discesa dei personaggi in un inferno che è terra sconosciuta, abitata da popoli primitivi che colpiscono da lontano con armi di pietra. Non esistono divinità là in fondo, nessun dio ha mai oltrepassato quella fitta coltre di nebbia. L’uomo deve spogliarsi persino delle sue ultime armi per abbracciare il suo fato e superare la prova suprema dell’anima, quella della vera variante umana, il sacrificio. Prima del definitivo trionfo di Drive, Nicholas Winding Refn firma un film ambiguo, certamente poco vendibile, ma personale e significativo, dimostrazione dell’innegabile ecletticità del danese, in grado di esprimersi attraverso diversi generi e tematiche: dalle ambientazioni underground del mondo della droga in Pusher al noir di Drive, dalla teatralità di Bronson all’epica temibilmente umana di Valhalla Rising.


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