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Scanners

24/02/2015 11:00

Mattia Caruso

Recensione Film,

Scanners

Ha la consistenza persistente di una nota protratta e distorta all'inverosimile lo stravolgimento psicofisico del protagonista di Scanners, spaventata pedina di

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Ha la consistenza persistente di una nota protratta e distorta all'inverosimile lo stravolgimento psicofisico del protagonista di Scanners, spaventata pedina di una rivoluzione che ha i toni sconvolti di un'evoluzione organica. É la telepatia, l'incredibile capacità di sottomettere le menti altrui, l'indesiderato dono che ben presto il giovane Cameron (Stephen Lack), con l'aiuto di un ambiguo scienziato e di un'organizzazione ancora più oscura, scoprirà di possedere e imparerà – dolorosamente – a controllare.


Correva l'anno 1981 e il canadese David Cronenberg – un paio di cult alle spalle e un occhio sempre più attento alle degenerazioni della società – si confermava regista dell'eccesso umano, con una delle punte massime di quella che sarebbe diventata la sua personalissima poetica. Forte dell'impatto espressivo di opere come Shivers e Rabid, Cronenberg porta avanti l'incubo del contagio e della trasformazione del corpo declinandolo in nuove forme, contaminandolo di suggestioni psichiche e mettendolo al servizio di un thriller irregolare e dalle svolte imprevedibili. Un contagio che è qui desiderio fagocitante di dominio, cannibalismo mentale concreto e viscerale quanto una mente che esplode riversando dinnanzi a sé l'organicità di cui, inevitabilmente, è fatta. Mai il paranormale è stato tanto fisico, mai il soprannaturale ha avuto i caratteri tanto stravolti della mutazione organica.


L'autore canadese, massimo esponente di quel body horror che ne contraddistinguerà il percorso artistico per decenni – distorto e grottesco riflesso della patinata estetica fuori controllo degli anni Ottanta (e oltre) – mette in scena una fusione tanto tematica quanto affettiva, che fa dell'ibridazione il vettore stesso di senso dell'intera operazione. Ecco allora che, portando questa visione all'estremo, il regista de Il pasto nudo crea, per gli anni a venire, un particolarissimo prototipo dell'uomo-macchina anticipando il destino di una poetica multiforme che farà della commistione del biologico col meccanico la sua summa tematica ed espressiva. Una cronaca mutante che è martirio della carne e insieme deriva della tecnica; un innesto meccanico dove l'eccezionalità della natura si fa ben presto perversione artificiale, stravolgimento farmacologico, evoluzione indotta e deviata che porta con sé l'ambiguità costante della mutazione, il suo eterno oscillare tra bene e male. Concetti, in fondo, fatti della stessa, identica sostanza.


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