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Il mostro della laguna nera

20/02/2018 11:00

Davide Tecce

Recensione Film, Film Horror, mostro laguna nera,

Il mostro della laguna nera

Gill-Man è l'antieroe tragico e sfortunato che ha fatto la storia

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Nato come film di serie B ma destinato a divenire presto un classico della cinematografia, Il mostro della laguna nera conserva intatto anche a distanza di decenni un innegabile fascino estetico e concettuale, grazie al quale la pellicola ha saputo guadagnarsi la fama di cult movie e il caloroso affetto da parte del pubblico cinefilo. Prodotto dal sagace William Alland, che fornì l’idea di base per la vicenda narrata, e diretto dalla mano dell’abile Jack Arnold, alle prese con la sua seconda opera di fantascienza (dopo l’ottimo esordio con Destinazione Terra dell’anno precedente), Il mostro della laguna nera racconta della spedizione di un gruppo di scienziati i quali, viaggiando lungo il Rio delle Amazzoni, s’imbattono in un misterioso essere preistorico metà uomo e metà pesce, ribattezzato Gill-Man (Uomo-Branchia). La curiosità degli studiosi e l’avidità del loro finanziatore devono fare i conti tuttavia con la reazione della creatura, per nulla disposta a tollerare gli invasori e soprattutto a lasciarsi sfuggire la bella dottoressa Kay.


Il mostro della laguna nera può essere considerato un perfetto esempio di ibrido cinematografico, non solo per via della peculiare natura anfibia di Gill-Man, ma anche per la capacità del film di mescolare insieme generi e registri stilistici fra loro molto differenti. Per quanto riguarda il primo aspetto, la realizzazione della creatura richiese una fase preliminare piuttosto lunga e complicata, segnata da numerosi ripensamenti dei bozzetti iniziali e da un’aspra contesa tra gli artisti coinvolti nel procedimento creativo. Quando finalmente il look del mostro venne stabilito, si passò alla fabbricazione del rispettivo costume in lattice, replicato in vari esemplari al fine di adattarsi alla fisionomia dei due attori scelti per impersonare Gill-Man: l’imponente Ben Chapman, giocatore di baseball alto quasi due metri, chiamato per girare le sequenze sulla terraferma, e l’agile Ricou Browning, nuotare professionista in grado di resistere interi minuti in apnea senza l’ausilio del respiratore, ingaggiato per le scene sottomarine. In questo modo prese vita uno dei personaggi più iconici e rappresentativi di tutto il cinema fantastico, in grado di lasciare una profonda traccia nell’immaginario popolare e di ispirare numerose produzioni nel campo della Settima Arte, della letteratura, della musica, dei fumetti e dei videogiochi.


Per quanto riguarda poi il secondo aspetto sopra menzionato, ovvero la contaminazione dei generi operata dal film, Il mostro della laguna nera merita di essere ricordato anche per la presenza di una messinscena robusta e proteiforme, in grado di passare con disinvoltura dalla fantascienza all’avventura, dall’orrore all’erotismo, senza per questo rinunciare mai alla propria specifica identità. Fondamentali, a tal proposito, si sono dimostrati il contributo della regia di Jack Arnold, specialista del filone fanta-horror, abilissimo nel conciliare senso dello spettacolo e contenimento dei costi, e l’apporto della fotografia di William E. Snyder, capace di valorizzare al meglio le spettacolari riprese subacquee nonché l’originalità della cornice esotica, decisamente inusuale per le produzioni del genere (spesso ambientate nel deserto o nella provincia statunitense).


Il principale punto di forza della pellicola risiede nella caratterizzazione della sua indimenticabile star, Gill-Man, antieroe tragico e sfortunato che finisce per provocare nello spettatore un moto di simpatia più che di spavento, di compassione più che di ribrezzo. Incarnazione per antonomasia di una diversità destinata inevitabilmente a confliggere con la paura e l’intolleranza ataviche dell’uomo, la creatura si vede raffigurata come una forma di vita primordiale e selvaggia, espressione sorprendente della varietà biologica anziché di una malvagità intrinseca e connaturata. Il comportamento minaccioso con il quale essa risponde all’invasione umana non è in fondo dissimile da quello di un animale atto a proteggere il proprio territorio di vita e di caccia, risultando pertanto più comprensibile e legittimo della violenza adoperata nei suoi confronti dal vero aggressore, l’uomo stesso, intenzionato a imprigionare il prodigioso essere per sottoporlo a studi approfonditi o, peggio ancora, per trasformarlo in un fenomeno da baraccone.


Nel corso del racconto, Gill-Man e gli altri personaggi si alternano continuamente nei ruoli di predatore e di preda, seguendo un percorso di repulsione e attrazione che raggiunge il proprio acme nella sequenza forse più celebre e significativa dell’intera pellicola: quella in cui il bizzarro anfibio raggiunge Kay Lawrence (Julie Adams) muovendosi sott’acqua e, senza farsi notare, sincronizza il proprio nuoto con quello della procace studiosa. Tale passaggio, indubbiamente dotato di una vibrante carica erotica che richiama non solo King Kong ma anche il suo modello originario, La bella e la bestia. Ricopre a ben vedere un duplice significato: per un verso, esso rappresenta il terrore dell’uomo davanti all’ignoto, declinato qui nella particolare forma dell’avversione per tutto ciò che, trovandosi al di sotto della superficie acquatica, si sottrae allo sguardo e può colpire da un momento all’altro; per altro verso, la scena in questione concorre ad umanizzare la creatura, dotandola di desideri e impulsi che rispecchiano quelli degli altri personaggi, oltreché del pubblico stesso. Si verifica in questo modo un interessante rovesciamento dello stereotipo del mostro, ritratto non più esclusivamente in termini alieni ed ostili, bensì come figura comprensibile, a tratti persino familiare. Questo aspetto, ben lungi dal costituire un tratto marginale e naif, conferisce all’opera di Jack Arnold uno spessore da non sottovalutare: in un’America dominata dalle persecuzioni maccartiste e la segregazione razziale, il cinema comincia coraggiosamente a schierarsi dalla parte del diverso, dell’outsider.


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