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La prima notte del giudizio

03/10/2018 11:00

Marco Filipazzi

Recensione Film, Film Azione, Film Horror, notte del giudizio,

La prima notte del giudizio

12 ore di criminalità legalizzata, dove ogni cosa è concessa

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Diciamoci la verità, La notte del giudizio era un film con un’intuizione geniale ma sfruttata malissimo: James DeMonaco ha l’idea di legalizzare qualsiasi crimine per 12 ore all’anno e confina la storia tra le mura di casa di Ethan Hawke? Peggio forse è riuscito a fare solo Damien Leone, che con un titolo come Frankenstein vs. the Mummy è riuscito a relegare i mostri in 3 minuti di film su 115. In ogni caso l’anno dopo DeMonaco ci riprova, risollevando gli animi con Anarchia, in cui l’azione si sposta per strada in una rivisitazione post-moderna de I guerrieri della notte. Alcune idee lasciate intuire nel primo film, qui vengono sviscerate maggiormente: il governo fascista, i disperati che vendono la propria vita per denaro, lo Sfogo come scusa per ripulire le stade dal ceto medio-basso. Si accenna anche a una resistenza formata da minoranze e proletariato mentre la borghesia bianca è il vero”mostro” da temere nella Notte del Giudizio.


Il terzo film dichiara sin dal titolo (La notte del giudizio - Election Year) un intento politico, con una senatrice democratica che si scaglia contro il sistema, dimostrando che gli unici a giovare dello Sfogo sono i più abbienti, l’industria delle armi da fuoco, le aziende di assicurazione e quelle dei sistemi di sicurezza. Peccato che nel corso del film questo messaggio venga annacquata sino a perdersi.


Arriviamo così al quarto (e più interessante) capitolo della saga, in cui viene mostrata allo spettatore la prima Notte, quando ancora lo Sfogo è solo un esperimento e non un istituzione. Il punto focale del film però non sta tanto nella storia, quanto nell’ambientazione. La genialità della saga creata da DeMonaco è stata quella, nel 2013, di aver immaginato un futuro distopico che oggi, a distanza di appena 5 anni, è diventato realtà! E allora lui che fa? Non prosegue la saga, ma ci propone un prequel che è quantomai attuale e raggelante.


L’America è una nazione che si sta avviando verso un lento e inesorabile collasso; il tasso di povertà è in continuo aumento, così come la criminalità, il malcontento della popolazione e le tensioni razziali nelle grandi città. Per arginare questa rabbia dilagante i Nuovi Padri Fondatori (un terzo partito apparso dal nulla che supera sulla destra gli ormai obsoleti Democratici e Repubblicani) propone un esperimento che, se otterrà i risultati sperati, verrà replicato su scala nazionale: 12 ore di criminalità legalizzata, dove ogni cosa è concessa e ogni servizio di pronto intervento è sospeso. Solo le persone, i loro istinti più oscuri e il pilotaggio delle informazioni da far trapelare ai media. Il quartiere designato è Staten Island (miscuglio razziale di neri e ispanici che è già una polveriera anche senza sopprimere l’illegalità), dove la popolazione - non proprio benestante - viene incentivata a prendere parte all’esperimento a suon di dollaroni: 5.000 dollari solo per restare sull’isola durante lo Sfogo, al quale si può evitare anche di prendere parte. Ma se si partecipa e si uccide (e si sopravvive, ovvio) allora si ricevono incentivi extra.


Sostituite le parole America con Italia, Staten Island con una qualsiasi periferia di una grande città del nostro paese, il programma dei Nuovi Padri Fondatori con alcuni dei punti della nostra attualità politica... e avrete una fotografia dell’odierna situazione socio-politica dello Stivale. Abbiamo parlato tantissime volte di come l’horror sia stato negli anni metafora e specchio delle paure dei nostri tempi, ma in rarissime occasioni abbiamo potuto assistere a film che possono definirsi quasi profetici. Ne La prima notte del giudizio il messaggio della pellicola trascende lo schermo diventando tremendamente reale, quasi di denuncia; si lascia alle spalle lo status di film d’intrattenimento e trasformandosi in una doverosa riflessione con cui fare i conti. Non resta che ragionare con noi stessi e capire fino a che punto siamo disposti ad abbandonare la nostra umanità.


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